Che cos’è il Narcisismo

Il termine Narcisismo indica una condizione sia culturale che psicologica.

Nel linguaggio comune siamo abituati ad associarlo a vanità, esibizione, megalomania, ma anche a nevrosi e comportamenti patologici. Siamo fuori strada: il Narcisismo è una dimensione fondamentale e normale dell’attività psichica, che ci riguarda tutti e in ogni fase della vita. Parafrasando Kohut potremmo definirlo “necessario quando è sano, accecante quando cancella gli altri”.
Ma andiamo per gradi.

Il mito

Il termine, come ormai tutti sappiamo, nasce dal mito di Narciso, arrivato a noi grazie a Ovidio e alla descrizione che ne fa nelle Metamorfosi. La caratteristica che più mi ha incuriosito leggendo per intero il mito, è che la storia popolare che spesso si sente raccontare, è in realtà solo una piccola parte dell’intero mito. Ho letto il mito completo perché la mia curiosità era: ma perché Narciso era così innamorato di se stesso? Ed ho scoperto che egli era innanzitutto una vittima dell’invidia.
L’invidia di Tiresia, il veggente cieco (accecato dall’ira di Giunone, poiché da lui contraddetta in una disputa con Giove), che quando viene interpellato da Liriope, la madre di Narciso, per sapere se il neonato, che tutti descrivono come bellissimo, vivrà fino a diventare vecchio, lancia la profezia-maledizione di un invidioso: “Si se non noverit”. Frase che si può tradurre sia con “se non conoscerà se stesso” sia con “se non guarderà se stesso”. Ed è proprio da questa frase che Ovidio svolge la storia di Narciso.

Passano gli anni e Narciso resta sempre bellissimo, ma anche superbo. Un tipo che non si lascia toccare né dalle ragazze né dai ragazzi che gli corrono dietro continuamente. Sennonché un giorno, mentre va a caccia, viene visto da una splendida ninfa, Eco, che si innamora perdutamente di lui. E qui ritorna in ballo Giunone, che a causa della sua gelosia per Giove, infliggeva pene a destra e a manca. Eco infatti era stata punita da Giunone poiché era la ninfa addetta a distrarla, con le chiacchiere, mentre Giove se la spassava con le altre ninfe. La punizione di Giunone, scoperto l’inganno, era stata quindi esemplare: Eco non poteva più parlare, se non per ripetere la fine delle parole che udiva da altri.
Ecco dunque i personaggi principali del complesso mito: Eco che non può tacere se qualcuno parla, però deve sempre parlare tramite le parole altrui e non può prendere l’iniziativa. E Narciso, che concretamente vede ma non deve vedersi, ma metaforicamente non vede gli altri e vede solo se stesso.
Il gioco tragico è tutto sul “chi parla a chi” e “chi vede chi”.
Quando allora Eco incontra Narciso che sta cacciando, non potendo parlargli, inizia a fare dei rumori per attirare la sua attenzione, e Narciso parla “Chi c’è qui?” ed Eco risponde “Qui”, allora Narciso grida “Vieni” ed Eco di rimando “Vieni”. Il dialogo prosegue finchè, giocando sul senso delle parole, Ovidio fa cadere il velo “Huc coeamus”, “Troviamoci qui” grida Narciso, ma “coeamus” vale anche per “uniamoci” ed Eco risponde appunto “coeamus”, uniamoci, contentissima di aver avuto la possibilità di esprimere il proprio desiderio. Esce dal bosco e butta le braccia al collo di Narciso, il quale, nel suo stile, grida “Crepo piuttosto che stare con te!”. Ma Eco può solo ribattere, ovviamente, “stare con te” e prova grande vergogna e un dolore (le pene per l’amore) che la fa smagrire fino a morire. Da allora di lei ci è rimasta solo la voce, poiché la condanna di Giunone resta valida anche quando Eco muore: un decreto divino non può essere cancellato.
Narciso invece, continua a fare strage di cuori e a negarsi a tutti, tanto che uno dei delusi gli augura che capiti anche a lui di amare senza mai possedere l’amato. Preghiera raccolta dagli dei, che erano molto attenti alla regola della reciprocità in amore (essa implica che chi offre amore deve ricevere amore, e che un amante deluso può maledire l’amato che non ricambia il suo amore e che gli dei sostengano e realizzino questa maledizione, perché è stata infranta una legge generale).
Un giorno Narciso, stanco, si stende a riposare vicino a una sorgente e vede con la coda dell’occhio riflessa nell’acqua la sua stessa immagine bellissima, e crede si tratti di un altro del quale si innamora, ma che inutilmente cerca di abbracciare. Specchiandosi ha l’impressione che l’altro gli si avvicini quando lui si avvicina alla superficie dello specchio d’acqua, lo vede tendere le braccia quando lui gliele tende, lo vede piangere quando lui piange. Fino alla rivelazione “Iste ego sum” che si potrebbe liberamente tradurre con “Accidenti, ma questo sono io!”, rivelazione che però non spegne la fiamma dell’amore, ma la rende terribile perché condannata all’insoddisfazione. Disperato Narciso si straccia la tunica, si lacera il petto e insanguina la sorgente. La povera Eco, che pur era arrabbiata e offesa per il rifiuto di Narciso, prova un grande dolore a vederlo in queste condizioni e ad ogni grido di lui ripete l’”Ahi”, facendo risuonare il bosco. Narciso, avviandosi alla morte per sfinimento, guarda ancora nella fonte dicendo “Tutto è inutile, fanciullo diletto!” ed Eco ripete straziata “Fanciullo diletto!”. E quando Narciso reclina il capo e saluta la sua immagine con un “Ciao” prima di morire, “ciao” ripete ancora Eco in preda al dolore.  Ma quando le Driadi (le ninfe delle querce) si accingono a preparare il rogo per bruciare il cadavere di Narciso, non lo trovano più: al suo posto (è qui la metamorfosi) è cresciuto e sbocciato un fiore rosso-arancione circondato da una bianca corolla, che da allora si chiamò appunto Narciso. (Semi, 2007).

Dal Mito alla Psicologia

E’ significativo che Narciso si innamori della sua immagine soltanto dopo aver respinto l’amore di Eco. L’innamorarsi della propria immagine (diventare cioè narcisisti) è interpretato nel mito come una forma di punizione per l’incapacità di amare (o rispettare la regola della reciprocità). Esaminando più attentamente il mito, Eco potrebbe essere vista come la nostra stessa voce che riviene a noi. Così, se Narciso avesse potuto dire “ti amo”, Eco avrebbe ripetuto queste parole e il giovane si sarebbe sentito amato. L’incapacità di dire queste parole identifica il narcisista.

Di solito si pensa al Narcisismo come a un eccessivo amore di sé, accompagnato da una corrispondente mancanza di interesse e sentimenti verso gli altri. Il Narcisista ha fama di essere un egoista e un avido il cui atteggiamento è “io per primo” e in molti casi “soltanto io”. Ma questa descrizione è corretta solo in parte. I narcisisti dimostrano è vero mancanza di interesse per gli altri, ma sono altrettanto indifferenti anche ai propri più veri bisogni. Spesso il loro comportamento è autodistruttivo. Infatti i Narcisisti amano la propria immagine e non il sé reale. Hanno un senso di sé debole, e non è in base ad esso che orientano le proprie azioni. Ciò che fanno è diretto a incrementare l’immagine, spesso a scapito del sé. (Lowen, 1983).

Quattrini definisce il Narcisismo come una speciale categoria di bisogni, i quali invece di indurre un movimento in direzione del mondo, tendono a far si che le varie parti della persona si coordinino in modo da formare un insieme soddisfacente, una forma cioè che la persona stessa apprezzi. I bisogni narcisistici consistono nella spinta a realizzare al limite una forma ottimale di sé, un sé perfetto, immutabile. Questi bisogni cominciano con la distinzione fra sé e il mondo: appena nato il bambino sembra non percepisca questa differenza , da principio gli interessa tutto e con tutta probabilità è solo attraverso il dolore che comincia a dividere in categorie (bello/brutto, buono/cattivo, me/non me). Il mondo appare da una parte frustrante, e dall’altra pieno di meraviglie: si struttura così quel ponte fra interno ed esterno che si chiama desiderio, e il bambino prede a desiderare il mondo. Finché non differenzia tra sé e il mondo il bambino vive probabilmente come tutto perfetto. Quando però si stacca dalla simbiosi con la madre e questa unità primaria narcisisticamente perfetta si scinde, si può immaginare che si profilino sostanzialmente due possibilità principali: il bambino investe sulla madre, e allora la idealizza e l’adora (Imago Parentale Idealizzata), o investe su di sé e allora tende a considerare il mondo in secondo piano rispetto ai suoi bisogni (Sé Grandioso). Queste due possibilità sono comunque l’una l’ombra dell’altra, cioè chi ha l’una in figura ha l’altra sullo sfondo, e tutte e due le eventualità sono un normale precursore infantile di una personalità adulta che devono quindi ridimensionarsi col tempo. 
Da queste due possibilità possono emergere due diverse modalità di essere in difficoltà col mondo: le persone che da adulte continuano ad investire solo su di sé tendono spesso a non valorizzare gli altri abbastanza da avere la pazienza di costruirci qualcosa insieme, mentre quelle che continuano a idealizzare perdono facilmente la fiducia di poter avere dagli altri risposte soddisfacenti ai loro bisogni.
Lo sviluppo “normale” dovrebbe avvenire tramite un’integrazione tra gli investimenti oggettuali (cioè la capacità di essere interessati proprio agli oggetti dei desideri) e quelli narcisistici (cioè l’essere interessati all’immagine di sé che soddisfa il desiderio), quando cioè la vernice di piacere che riveste gli oggetti desiderati si estende anche agli impulsi che portano a raggiungerli, tanto da permettere all’individuo di piacersi mentre li vive.
Un esempio di forte integrazione fra investimenti oggettuali e narcisistici lo danno i popoli primitivi, che generalmente sono dotati di una particolare sensualità nel movimento: anche in un lavoro pesante come tirare le reti o prendere l’acqua da un pozzo riescono a trovare un motivo di piacere, che in definitiva è il piacere di avere un corpo ed usarlo. Invece un tipico sintomo nevrotico delle civiltà avanzate è la divisione tra lavoro e divertimento: in genere non si investe narcisisticamente sul proprio lavoro, che finisce quindi per non piacere, mentre l’investimento narcisistico è messo per esempio sulle attività sportive. Una persona con un sé sufficientemente integrato è in grado di trovare piacere anche nelle attività dichiaratamente lavorative, naturalmente entro una gamma normale di lavori, non compresi quelli nocivi o in qualche modo alienanti.
L’integrazione di questi investimenti può avvenire tramite un rispecchiamento positivo del desiderio, desiderio di avere o desiderio di essere come la persona ammirata. Il normale sviluppo del bambino passa attraverso un’idealizzazione dei genitori, fino ad avvicinarsi a loro e scoprire i loro limiti, senza però svestirli del valore attribuitogli, per poi trasferire quel valore su se stessi. Alla fine di questo processo chiunque è in grado di apprezzarsi, indipendentemente da considerazioni oggettive. (Quattrini, 1986).

Una certa quota di Narcisismo è normale e necessaria a qualunque individuo. Si può affermare che il Narcisismo sano si colloca in una posizione intermedia lungo un continuum tra due estremi patologici: da una parte un narcisismo eccessivo, caratterizzato da un sé grandioso, sentimenti di superiorità, arroganza e senso di onnipotenza, dall’altra parte troviamo invece un deficit narcisistico che comporta sentimenti di inferiorità, impotenza e scarsa stima di sé. Quindi un Narcisismo sano si troverebbe al centro di questa linea immaginaria, ai cui estremi si collocano due distinti disturbi del narcisismo dove entrambi sottendono comunque un sé fragile.
Un Narcisismo sano, secondo l’accezione di Kohut, è fondamentale in quanto nel suo essere l’espressione di un “amore verso il proprio sé”, sta alla base dell’autostima necessaria a qualsiasi personalità sufficientemente armonica ed equilibrata. Egli infatti considera il Narcisismo come un insieme integrale e delimitato di funzioni psichiche da sviluppare ed evolvere, piuttosto che un prodotto regressivo da eliminare.

- Virginia Lanna, "Il Narcisismo del Terapeuta", Tesi di Specializzazione in Psicoterapia della Gestalt (2014) - 

Gli effetti psicosomatici del lutto
UK. "Morire d'amore": l'idea romantica trova fondamento scientifico nei laboratori dell'Università di Birmingham.

"Uniti nella vita e nella morte. Moglie e marito si spengono a poche ore di distanza".
«Tutti conosciamo storie di qualche anziano che muore e l'altro coniuge, perfettamente sano, se ne va poco dopo. Con lo stress da lutto (...) può succedere che se l'anziano vive un trauma (come una caduta o una broncopolmonite) diventi più sensibile a nuove infezioni». A spiegarlo, la ricercatrice in Medicina comportamentale Anna C. Phillips, coautrice dello studio condotto all'Università di Birmingham e pubblicato sulla rivistaImmunity and Ageing il 29 agosto 2014.

Lo studio. Phillips e colleghi hanno comparato l'effetto dello stress da lutto sul sistema immunitario di persone sane giovani e anziane.
Lo studio ha coinvolto: 41 giovani adulti di circa 32 anni, di cui 21 in lutto e 20 non in lutto; e 52 anziani di circa 72 anni, di cui 26 in lutto e 26 non in lutto.
I partecipanti hanno compilato questionari sulle proprie caratteristiche socio-demografiche e sui comportamenti di salute. Sono state prese in esame variabili psicosociali e risultati degli esami clinici.

In particolare sono stati osservati: le funzioni dei neutrofili; la concentrazione nel sangue del cortisolo e del Deidroepiandrosterone solfato o DHEA Solfato; il rapporto fra cortisolo:DHEA Solfato.
I ricercatori si sono avvalsi delle tecniche della statistica inferenziale ANOVA (analisi della varianza) e hanno confrontato i dati interni ai gruppi e fra i gruppi.

Le persone in lutto di entrambi i gruppi di età hanno riportato maggiori sintomi di depressione e ansia rispetto ai gruppi di controllo.
Ciò nonostante i giovani partecipanti in lutto hanno mostrato una robusta funzione dei neutrofili e uguali livelli dell'ormone dello stress anche rispetto ai coetanei non in lutto.

Le persone più anziane in lutto invece hanno evidenziato una chiara riduzione nella produzione di neutrofili, un aumento del cortisolo, una conseguente alterazionenell'equilibrio cortisolo:DHEAS e una maggiore produzione di ROS che causa uno stress ossidativo.

Questo si traduce in un effetto immunosopressivo con conseguenze in senso deteriore a carico del sistema immunitario e nervoso.
«... dopo una perdita - chiarisce la Phillips - possiamo soffrire di una ridotta funzione dei neutrofili (...) essenziali a combattere infezioni e malattie, così noi diventano vulnerabili quando questo accade».

Gli effetti negativi dello stress da lutto sul sistema immunitario sono quindi più gravi nelle persone anziane, che corrono maggiori rischi di contrarre infezioni o andare incontro a patologie, quali ad esempio infezioni, osteoporosi, diabete e gravi malattie cardiovascolari.

I ricercatori giungono quindi alla conclusione che le persone più giovani non accusino gli stessi effetti dello stress sul sistema immunitario rispetto al quelle più anziane: «non hanno mostrato alcun effetto dannoso del lutto sulla funzione dei neutrofili e sulla concentrazione dell'ormone dello stress».

Ammettono però che questo sia in parte dovuto al fatto che i giovani non sono soggetti a immuno-senescenza e che il declino nella produzione di DHEAS avvenga naturalmente con l'avanzare dell'età, in particolare con l'andropausa.
Tuttavia ritengono che lo studio possa rivelarsi utile per progettare
 percorsi anti-stress e fornire il miglior supporto possibile alle persone più vulnerabili.

Anna Phillips ha aggiunto che, per aiutare le persone a lutto di fronte al rischio di stress, si potrebbe ricorre a integratori ormonali o prodotti analoghi, tuttavia questa non è l'unica soluzione e non può sostituire il sostegno psicologico e la vicinanza di familiari e amici nel corso di un periodo di lutto.

lun

14

gen

2013

L’insostenibile Leggerezza del Bugiardo Patologico

FENOMENOLOGIA DEL BUGIARDO PATOLOGICO.

 

L'insostenibile leggerezza del Bugiardo Patologico - © SCPixBit - Fotolia.com - Vostro marito o vostra moglie, il vostro compagno o la vostra compagna, o degli amici dicono tante bugie, spesso senza avere un risvolto pratico? Beh, escludendo ogni patologia a carico del destinatario della menzogna, è possibile si possa avere a che fare con un bugiardo patologico.

Prima di entrare nel vivo del discorso è opportuno comprendere la differenza fra bugiardi patologici e bugiardi compulsivi.

Il bugiardo compulsivo non mente per raggiungere un fine specifico, ma semplicemente per abitudine e soprattutto perché mentire lo fa stare meglio rispetto a quando racconta la verità. Essere sinceri per queste persone diventa un’impresa psicologicamente difficile, così mentono su qualsiasi cosa. La bugia diventa una risposta automatica ed irrefrenabile, compulsiva appunto. Questo tipo di bugiardo, non è manipolativo o almeno non lo è apertamente. Mentre, il bugiardo patologico è colui che mente incessantemente per ottenere qualcosa e lo fa senza curarsi delle conseguenze emotive e comportamentali che questo atteggiamento può avere sugli altri.

In questo caso l’abitudine alla menzogna è vista come meccanismo per affrontare la realtà. Il bugiardo patologico è in genere manipolativo, autocentrato e ben poco empatico rispetto alla dimensione psicologica delle altre persone.

La persona che mente ha interiorizzato da così tanto tempo il meccanismo della menzogna che riesce a conviverci in modo egosintonico e difficilmente percepisce il suo modo di fare come patologico.

 

Il primo passo da realizzare è quindi l’autoconsapevolezza, ovvero rendersi conto di avere un problema su cui lavorare. In seconda battuta va sottolineato che, come ogni altro comportamento che offre comfort e fuga dallo stress, la menzogna può creare dipendenza e assuefazione, quindi si tratta di un qualcosa difficile da disimparare. Come per le tossicodipendenze, se non c’è una forte motivazione a smettere, è difficile che si possa approdare a cambiamenti strutturali per la persona. I bugiardi sono tanto abituati a mentire che, spesse volte, non riescono a distinguere più la realtà dalla fantasia. E’ come se la bugia andasse a sostituire la verità con dei contenuti compensatori che completano perfettamente il puzzle della realtà. Infine, la realtà stessa assume una connotazione di falsità e la bugia diventa la realtà.

 

La prima caratteristica che connota un bugiardo patologico è dichiararsi sostenitori della sincerità e dei valori. Si tratta di persone severamente malate, anche se appaiono normali in superficie, e il loro disturbo può provocare gravissime conseguenze a chi sta loro vicino.
Sono persone che non hanno consapevolezza della loro malattia e credono che mentire sia giusto al fine di proteggere il proprio ego per guadagnare dei benefici. Gli altri, naturalmente, ricevono dai danni gravi in risposta ai comportamenti spietatamente manipolatori, e mendaci messi in atto dal bugiardo. Fondamentalmente, si tratta di persone che sono in grado di inscenare una pantomima della realtà fino ad apparire sinceri al più attento osservatore.
A molti capita di incontrare e conoscere persone con tale disturbo; essi si presentano con grande attorialità, ipocrisia (“ipocrita”, in greco significa attore) e astuzia come persone buone e sincere, quindi utilizzano questa maschera come copertura al fine di poter mentire e raggirare con maggior efficacia. Perciò è molto difficile riconoscerli e si può facilmente diventarne vittima nelle relazioni di amicizia, di lavoro e sentimentali.

 

MENTIRE L’AMORE

A rendere ancora più complicata la situazione è la presenza di un pervasivo disturbo di personalità, in genere narcisistico, nei mentitori patologici.
I narcisisti amano troppo se stessi per riuscire ad amare gli altri. Secondo uno studio statunitense, pubblicato sul “Journal of Personality and Social Psychology”, non sono in grado di mantenere relazioni sentimentali felici e durature. Per il “narciso”, l’amore è un gioco in cui si deve fare sempre la “parte del leone”, per mantenere sempre il potere anche a costo di mentire, tradire e umiliare il partner.
La personalità narcisistica è risultata incompatibile con la possibilità di stabilire relazioni sentimentali soddisfacenti, durature e affettivamente importanti. Infatti, nonostante sia vero che per amare gli altri bisogna prima di tutto amare se stessi, i narcisisti, in realtà, non amano veramente se stessi, ma si sopravvalutano continuamente, a spese di chi sta loro vicino.
Lo studio mette poi in guardia chi cerca un partner: “attenzione a non confondere il narcisismo con l’autostima”, perché l’autostima si concilia benissimo con la capacità di amare, il narcisismo implica necessariamente lo sfruttamento e l’umiliazione del partner. Certo, spesso i narcisisti sono estremamente affascinanti e sfuggenti, ma alla “prova del cuore” rivelano gradualmente la loro vera natura: egoisti, infedeli, manipolatori, prepotenti.
Il manipolatore relazionale è egocentrico; un vampiro psico-affettivo che si nutre dell’essenza vitale delle sue prede. Critica, disprezza, colpevolizza, ricatta, ricordando agli altri i principi morali o il perseguimento della perfezione, ma questo solo quando gli torna utile. E per raggiungere i suoi scopi ricorre a ragionamenti pseudo-logici che capovolgono le situazioni a suo vantaggio.
Spesso la sua comunicazione è paradossale: messaggi opposti in double bind, a cui è impossibile rispondere senza contraddirsi, oppure deforma il significato del discorso.
Si auto-commisera, si deresponsabilizza, non formula richieste esplicite e chiare. Non tollera i rifiuti, vuol sempre avere l’ultima parola per trarre le sue conclusioni, pur non condivise. Muta opinioni e decisioni. Soprattutto mente, insinua sospetti, riferisce malintesi . Simula somatizzazioni ed autosvalutazioni, ma dimostra sostanzialmente disinteresse affettivo.
Si tratta, insomma, di personalità disturbate e disturbanti, con cui ci si può legare sentimentalmente per venire immancabilmente destabilizzati dalla loro perfida influenza.

Concludo citando Kundera ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere”: quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna. Chi è pesante non può fare a meno di innamorarsi perdutamente di chi vola lievemente nell’aria, tra il fantastico e il possibile, mentre i leggeri sono respinti dai loro simili e trascinati dalla ‘compassione’ verso i corpi e le anime possedute dalla pesantezza. Era la vertigine. L’ottenebrante, irresistibile desiderio di cadere. La vertigine potremmo anche chiamarla ebbrezza della debolezza. Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare a essa: la bugia.

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Vazire, S. & Gosling, S. D. (2004). e-Perceptions: Personality impressions based on personal websites. Journal of Personality and Social Psychology, 87, 123-132.
  • Vazire, S., Naumann, L. P., Rentfrow, P. J., & Gosling, S. D. (2008). Portrait of a narcissist: Manifestations of narcissism in physical appearance. Journal of Research in Personality, 42, 1439-1447.
  • Giuseppe Maria Silvio Ierace, (2004). Solstizio D’Estate. Arnoldi editore.
  • Milan Kundera, (2003). L’insostenibile leggerezza dell’essere, Adelphi

 

source: www.stateofmind.it

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lun

14

gen

2013

Pavor Nocturnus: Fantasia o Realtà?

Pavor Nocturnus: bambini in età prescolare con persistenti episodi di pavor nocturnus sono poco in grado di distinguere realtà e fantasia.

 

La maggior parte dei bambini sperimentano paure notturne ad un certo punto del loro sviluppo, e se la maggior parte di loro riesce a risolverli senza alcun intervento professionale, altri lottano a lungo con queste paure, con in rischio di sviluppare disturbi d’ansia più tardi nella vita.  

Come parte di un grande progetto sul pavor nocturnus finanziato dall’Israeli Science Foundation, il Prof. Avi Sadeh della Tel Aviv University’s School of Psychological Sciences, sta esplorando come queste paure si inseriscono nel normale processo di sviluppo e quando diventano problematiche. Insieme ai suoi collaboratori ha scoperto che la capacità del bambino di distinguere la realtà dalla finzione ha un impatto enorme sul superamento del terrore di ciò che si può incontrare nella notte.

Nel loro studio i ricercatori hanno scoperto che bambini in età prescolare con persistenti pavor nocturnus erano molto meno in grado di distinguere la realtà dalla fantasia rispetto ai loro coetanei.  

Per i bambini piccoli, che stanno che stanno ancora sviluppando la capacità di distinguere la realtà dalla fantasia, andare a letto può essere una sfida importante. Infatti, in molti casi è l’unico momento della giornata in cui sono lasciati soli ad affrontare i loro pensieri, sentimenti e le paure; ed è proprio in questi momenti che l’immaginazione corre.

Per testare l’ipotesi che la confusione tra fantasia e realtà ha un forte impatto sulle paure notturne, i ricercatori hanno valutato bambini di quattro-sei anni – 80 con diagnosi di grave pavor nocturnus e 32 con sviluppo più normale – rispetto alla loro capacità di separare la realtà dalla finzione, sulla base delle dichiarazioni dei genitori e di un’intervista standardizzata. 

I risultati indicano che i bambini con paure notturne (pavor nocturnus) più intense erano significativamente meno in grado di distinguere la realtà dalla fantasia. Come previsto sulla base della fase di sviluppo dei bambini, i bambini più piccoli raggiungevano un punteggio più basso rispetto a quelli più grandi. Più basso era il punteggio, i più gravi erano gli episodi di pavor nocturnus del bambino. 

Secondo il Prof. Sadeh, la confusione tra fantasia e realtà può essere utilizzata anche per aiutare i bambini a superare le paure. I genitori e i medici possono utilizzare questa affinità con l’immaginario a beneficio del bambino.  

“Mandiamo ai bambini segnali contrastanti dicendo loro che i mostri non sono reali, ma allo stesso tempo gli raccontiamo della fatina dei denti”, spiega il Prof. Sadeh.

Dire a un bambino che la sua paura non è realistica non basta a risolvere il problema: Sadeh consiglia di utilizzare la fervida immaginazione del bambino come risorsa nel  trattamento, per esempio aiutandolo ad immaginare un mostro apparentemente minaccioso come una figura bonaria con la quale è possibile interagire amichevolmente, o inducendolo a prendersi cura e a rassicurare un cucciolo, un peluche per esempio, triste e spaventato.  Poiché questo intervento dipende dalla possibilità del bambino di credere alla storia del cucciolo e assumere un ruolo compassionevole, funziona meglio per i bambini con maggiore immaginazione.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

 

source: http://www.stateofmind.it/

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gio

19

apr

2012

Cos'è la Sindrome di Rebecca?

All'interno di una coppia, si sa, esiste sempre la gelosia, che si presenta sotto varie forme. Una di queste, abbastanza comune, è chiamata “sindrome di Rebecca”, si tratta della gelosia che si prova per il passato sentimentale del/della partner.

 

 Il problema della gelosia retroattiva è molto più comune di quanto si immagini: spesso infatti le donne e gli uomini (anche se in misura più lieve),  sono gelosi delle fidanzate/i precedenti.

 

Infatti a  chi non ha mai dato fastidio, in un rapporto, lo spettro dell'ex fidanzata/o del suo lui/lei?

Per alcuni è una vera e propria croce. Spesso si tratta di un'autentica fissazione: è normale, infatti, sognare di essere l'unico amore di un uomo o una donna ma, a meno che non abbiate 15 anni, è impossibile.

 

Tuttavia, a volte, le vostre antenne di donna o uomo sospettosa/o non si mettono in moto per pura insicurezza o paranoia. Ecco quando le ansie sono giustificate e come neutralizzare il pericolo:

 

1. Parla molto male della sua ex: la definisce immatura, falsa, arrogante, una che gli ha reso la vita un inferno. Anche se apparentemente può sembrare, date queste parole, che non tornerebbe mai sui suoi passi, in realtà è proprio il contrario. L'ideale è non dargli corda e ricordargli che, in ogni separazione, la colpa va divisa in due.

 

2. Non ne parla mai: ogni volta che chiedi qualcosa di lei/lui, ti risponde che è una storia passata. Se si chiude, vuol dire che non ha ancora digerito la fine del rapporto e a questo punto, la cosa migliore è convincerlo/a ad aprirsi e capire se è ancora preso da lei/lui.

 

3. Sono grandi amici: il rischio è che esista ancora una dipendenza psicologica dall’ ex. Non si riesce a chiudere un rapporto o per paura o perché ci si sente gratificati. Secondo gli esperti, bisogna avere il coraggio di imporre un ultimatum e chiedere di scegliere fra te e l’ex.

 

4. Le/gli perdona tutto: per l’ex si trova sempre una giustificazione. E' inutile demolirla in quanto non servirebbe a niente:  non c’è la volontà di  ammettere di essere stati con la persona sbagliata e idealizzandola si evita di mettersi in discussione. La cosa migliore è evitare di mettersi in competizione con l’ex ma essere sé stessi ed inviare al partner questo messaggio: "Anche se hai preso un abbaglio, ti amo lo stesso. Ora, però, voltiamo pagina".

 

Resta il fatto che la “gelosia dell’ex” nei casi più gravi questo può diventare un disturbo psichiatrico, con episodi di gelosia patologica e comportamenti paranoici e deliranti. Ciò è dovuto ad un disturbo di tipo ossessivo-compulsivo, che aggredisce la mente della persona gelosa di giorno come durante il riposo notturno, fino a farle avere delle difficoltà nel distinguere nettamente tra passato e presente.

 

Nei casi meno gravi la gelosia retroattiva non arriva a tali eccessi, ma resta comunque un comportamento profondamente irrazionale. La persona gelosa del passato tormenta il/la partner con continui interrogatori, aggressioni verbali ingiustificate ed eccessive richieste sessuali.  Nessuna rassicurazione, nessuna prova, potrà riuscire a placare la sua gelosia, che del resto non si basa su aspetti concreti della realtà e dunque è praticamente implacabile.

 

Fonte: www.psicologo-psicoterapeuta-sessuologo.it/

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mar

06

mar

2012

Quando un rapporto finisce: il mal d’amore

L’innamoramento attiva particolari aree del cervello e ne disattiva altre: le stesse che si accendono e si spengono durante l’assunzione di oppiacei. Quindi, essere innamorati è un po’ come ritrovarsi perennemente sotto effetto di sostanze stupefacenti.

L’innamoramento provoca uno sconvolgimento in specifiche aree del cervello che vengono letteralmente bombardate da neurotrasmettitori. Ricerche eseguite con risonanza magnetica, dimostrano che si spengono altri nuclei nervosi nelle zone frontali del cervello, tali nuclei governano il giudizio e la parte razionale. Insomma, anche dal punto di vista tecnico, si può dire che un innamorato perde il lume della ragione. In più, questo sconvolgimento di neurotrasmettitori porta ad una minore attività dell’amigdala, sito del cervello che gestisce le emozioni ed in particolar modo la paura, ecco perché l’amore corrisposto ci mette così tanto di buon umore ma non è tutto oro quello che luccica!

La rottura traumatica di una relazione sentimentale lascia delle vere “ferite” e innesca meccanismi simili a quelli riscontrati nella cura della tossicodipendenza. Di solito usiamo frasi stile “Ti amo con tutto il mio cuore”, beh, cari miei, il cuore non c’entra, tutto avviene nel cervello. È una vera crisi d’astinenza e le conseguenze possono essere imprevedibili. Alcuni esperimenti con la risonanza magnetica hanno mostrato che le aree cerebrali che operano durante  una fase “di crepacuore”, cioè appena dopo una rottura, sono le stesse aree che si attivano in quei pazienti che sono in astinenza da cocaina o oppiacei. Questo spiegherebbe anche comportamenti ossessivi-compulsivi tipici degli amanti.

“Proprio il meccanismo di dipendenza e ricompensa – scrivono i ricercatori – spiega anche la nascita di sentimenti, legati a un rifiuto, difficili da controllare, come lo stalking, l’omicidio e il suicidio, e la depressione associata al rifiuto e alla perdita di un amore“.

Perché si scatena una crisi d’astinenza?
I “cuori infranti” (o dovremmo dire i cervelli infranti?!) agiscono su diverse aree neurali:
-l’area “ventrale tegmentale”, che controlla motivazione o incentivo a essere attivi. E’ l’area motivazionale dalla quale noi possiamo trarre appagamento (area già nota per il suo coinvolgimento nei sentimenti suscitati dall’amore romantico);
-il “nucleo accumbens” e la corteccia orbitofrontale e quella prefrontale, tutte zone associate al desiderio e alla dipendenza;
-il sistema dopaminergico, cioè quello della dipendenza dalla cocaina; la corteccia insulare e quella cingolata anteriore, associate a dolore fisico e stress.

Che cosa succede in termini pratici
Dopo l’abbandono si innesca una frustrazione psicologica: si piange per qualsiasi motivo (una canzone, un bar, una frase ecc.) si cercano diversi tentativi per rimediare e magari riallacciare i rapporti con la persona amata; subentra una tristezza costante , il desiderio di isolarsi dal resto del mondo e stare soli con se stessi, o meglio, con il proprio dolore.

Aspetti sintomatici
Apatia generalizzata, deconcentrazione, indifferenza, distacco, demotivazione totale, depressione, ansia, bulimia, anoressia, insonnia
la mancata gratificazione protratta nel tempo scatena di conseguenza la reazione aggressiva che può essere eterodiretta (rivolta verso l’esterno) oppure autodiretta (rivolta su di sé). In altri casi la rabbia repressa si tramuta in disperazione, dove nella migliore delle ipotesi ci si aggrappa al primo venuto (famoso chiodo sciaccia chiodo, che io consiglio a patto che scaturisca esclusivamente da un atteggiamento egoistico e non di compensazione) o nella peggiore delle ipotesi si traduce in patologie organiche e psicologiche gravi. O ancora ci si “lascia andare”, talvolta è anche la stessa reazione aggressiva autodiretta a scatenare ciò. Ci si lascia andare  al fumo, all’alcool o a sostanze, senza freno, in una specie di suicidio lento che elimina le capacità di sopravvivere del corpo e può spingersi addirittura ad un gesto estremo (suicidio).

Quanto dura il mal d’amore?
Questa domanda non ha risposta da un punto di vista scientifico, ma solo da un punto di vista statistico.
Un cuore infranto ha bisogno di almeno due o tre mesi per attenuare la fase acuta della sofferenza, dopo sei mesi si possono evidenziare grossi miglioramenti negli aspetti sintomatici che lo hanno coinvolto. Dopo circa un anno, si può configurare un recupero totale sia fisico che psichico. Qualora dopo un anno il dolore persiste può essersi determinata una condizione cronica per cui si richiede l’aiuto di uno specialista.

Consigli per superare la fine di un rapporto
Serve un distacco assoluto dalla persona che ci ha lasciato. Spesso, si tende a mantenere una minimo di relazione, di tipo amicale, con l’altro illudendosi che così il dolore sarà meno lacerante ma in tal modo, generalmente, non si fà altro che prolungare l’agonia o peggio, generare confusione. Piangere vi farà bene. Cercate una persona a voi cara che presti semplicemente ascolto, servirà ad allevierare un pò la sofferenza. Và espressa anche tutta la rabbia che si ha dentro così da limitare al minimo le frustrazioni.
Cercate di concentrarvi su nuovi interessi.
È vero ci sono persone che rimarranno nei nostri cuori, persone delle quali non vorremmo mai sbarazzarci, va benissimo serbare un ricordo, va bene anche la nostalgia, ma la cosa fondamentale è che questi sentimenti non diventino invalidanti. Ricordatevi, per quanto doloroso e lento possa essere questo percorso di superamento della fine di un amore, arriverà l’ora in cui vi accorgerete di essere guariti e vi renderete conto che il più grande amore è quello che ancora deve venire: non chiudete le porte del cuore.

dottoressa Anna Maria Sepe, psicoanalista

 

fonte: www.giacinto.org

 

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dom

26

feb

2012

Principio del vuoto - Joseph Newton

"Hai l'abitudine di accumulare oggetti inutili, credendo che un giorno, chissà quando, ne avrai bisogno?
Hai l'abitudine di accumulare danaro, solo per non spenderlo, perchè pensi che nel futuro potrà mancarti?
Hai l'abitudine di conservare vestiti, scarpe, mobili, utensili domestici ed altre cose della casa che già non usi da molto tempo?
E dentro di te?
Hai l'abitudine di conservare rimproveri, risentimenti, tristezze, paure ed altro?
Non farlo!
È necessario che lasci uno spazio, un vuoto, affinchè cose nuove arrivino nella tua vita.
È necessario che ti disfi di tutte le cose inutili che sono in te e nella tua vita, affinchè la prosperità arrivi.
La forza di questo vuoto è quello che assorbirà ed attrarrà tutto quello che desideri.
Finchè stai, materialmente o emozionalmente, caricando sentimenti vecchi ed inutili, non avrai spazio per nuove opportunità.
I beni devono circolare. Pulisci i cassetti, gli armadi, la stanza, gli arnesi, il garage... da quello che non usi più.
Non sono gli oggetti conservati quelli che stagnano la tua vita... bensì il significato dell'atteggiamento di conservare...
Quando si conserva, si considera la possibilità di mancanza, di carenza... si crede che domani potrà mancare, e che non avrai maniera di coprire quella necessità.
Con quest'idea, stai inviando due messaggi al tuo cervello e alla tua vita: che non ti fidi del domani e che pensi che il nuovo e il migliore non sono per te, per questo motivo ti rallegri conservando cose vecchie ed inutili.
Disfati di quello che ha perso già colore e lucentezza. Lascia entrare il nuovo in casa tua e dentro te stesso..."

 

fonte: http://dentroilweb.myblog.it/archive/2012/01/13/principio-del-vuoto-joseph-newton.html

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sab

11

feb

2012

La psicoterapia cambia il cervello

Aree attivate e spente. Sul lettino modificazioni biologiche simili a quelle dei farmaci. La risonanza magnetica riabilita gli eredi di Freud: "Una svolta che cambierà il modo di concepire la malatti

ANDREA ROSSI
C’è un uomo che ha paura dei ragni. Ne ha uno davanti. La fotografia del suo cervello mostra che una parte - l’area pre-frontale laterale destra - si attiva, stimolata dalla sua paura. Qualche tempo dopo lo stesso individuo non ha più alcuna reazione. Guarda un ragno, eppure reagisce in modo «normale», come quello di chi non è assalito da impulsi di terrore.

Il cervello è cambiato: la struttura neuronale si è modificata e tutto senza utilizzare alcun farmaco. Soltanto con la psicoterapia. La risonanza magnetica funzionale può dare la misura di una delle «rivoluzioni» che verranno presentate a Torino da oggi a sabato nella 4 giorni del 20° congresso mondiale di medicina psicosomatica. La terapia della psiche è in grado di far cambiare forma e anche attività al cervello: non solo contrasta ansie e fobie, ma regola anche le risposte agli stress causati dalle malattie. Agisce, infatti, sui circuiti neurobiologici. «Ha lo stesso effetto dei farmaci anti-paura, insomma», spiega Secondo Fassino, direttore del Centro universitario per i disturbi del comportamento alimentare dell’ospedale Molinette di Torino che ospita il congresso.

Un processo consolidato negli anni, a partire dagli studi di Til Wykes. Con i suoi collaboratori, già nel 2002 e poi nel 2007, ha dimostrato con una risonanza magnetica che un tipo di psicoterapia - la «Crt» - aveva sui soggetti schizofrenici gli stessi effetti positivi dei farmaci anti-psicotici. «Ecco, quindi, che il modello psicosomatico, valorizzando le terapie psicologiche anche nelle malattie del corpo, può essere la base per una nuova medicina - spiega Fassino -. Nei prossimi anni i trattamenti psichiatrici diventeranno essenziali per migliorare e umanizzare l’assistenza soprattutto nei campi dell’oncologia, dell’obesità, del diabete e delle malattie cardiovascolari». Serve, di conseguenza, un approccio «olistico» alla persona e non solo settoriale all’organo malato: si parte dai disturbi della psiche per curare le malattie più «classiche».

Una prova importante, in questo senso, è la scoperta - grazie a tecniche di «neuroimaging», come la risonanza magnetica funzionale - che la psicoterapia è in grado di modificare l’attivazione di aree specifiche cerebrali, permettendo all’individuo di gestire meglio le emozioni negative: dall’ansia alle paure. Si tratta di evidenze che nascono dalle scoperte del Premio Nobel Eric Kandel, famoso per aver dimostrato l’insorgere di alcune modificazioni sull’espressione dei geni.

Ulteriori prove arrivano dai test all’Università di Montréal: la possibilità di gestire meglio le emozioni legate alla sofferenza è indispensabile per l’affermarsi di una medicina più avanzata. «Spesso, infatti, gli stress si trasformano in disturbi mentali, aggravando la malattia organica», sottolinea Fassino. Non solo. Altre ricerche con il «neuroimaging» hanno fotografato in pazienti depressi la «normalizzazione» dell’attività cerebrale dopo una psicoterapia di qualche mese: l’effetto è paragonabile a quello dei farmaci antidepressivi, con precise basi biologiche.

Uno dei protagonisti di queste scoperte è Claude Robert Cloninger, professore alla Washington University School of Medicine di Saint Louis, Usa, dove dirige il «Laboratorio di biopsicologia della personalità». L’Io - spiega - è costituito da una parte stabile (il temperamento), legato alla genetica, e da un’altra parte (il carattere), che muta a seconda delle circostanze. Ecco perché molte terapie farmacologiche e anche chirurgiche - come la gastroplastica negli obesi - possono essere «modulate» in modo personalizzato, se si studiano i pazienti prima e dopo le cure. Del resto Georg Northoff della Otto-von-Guericke University di Magdeburgo, in Germania, ha dimostrato che l’angoscia che si trasforma in somatizzazione, come nelle paralisi isteriche, non è frutto di suggestione: è il frutto dell’attivazione o dell’inibizione di specifici circuiti cerebrali.

Lo sapevi che?
UN RAPPORTO CONTROVERSO
Psiche e corpo
Solo una mente sana contribuisce a mantenere sano l’organismo: è il messaggio-base del 20° congresso mondiale di medicina psicosomatica. Intitolato «Psychosomatic innovations for a new quality of health care», è in programma da oggi a sabato 26 settembre a Torino al Centro congressi del Lingotto.

Cause nascoste
Mente&Corpo: alcuni tra i maggiori esperti mondiali discuteranno sulle ultime ricerche di un rapporto complesso e da sempre controverso. In molte malattie organiche, infatti, sono presenti fattori psico-sociali che ne sono una causa oppure un effetto a lungo termine.

Terapie olistiche
Per i malati in cui la sindrome fisica e il disturbo mentale si intrecciano e si complicano è necessario un approccio più «ampio» dell’intervento specialistico sull’organo da curare. Ecco, quindi, l’affermarsi di un nuovo tipo di medicina più «olistica».

fonte:

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/scienza/grubrica.asp?id_blog=38&id_articolo=1440&id_sezione=243&sezione=news

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ven

10

feb

2012

La musicoterapia combatte la depressione

Aiuta a esprimere le proprie emozioni, anche quando farlo a parole è difficile: è questo il motivo per cui la musica aiuta a combattere la depressione. Ad affermarlo, in uno studio pubblicato sul British Journal of Psychiatry, sono i ricercatori dell'Università di Jyväskylä (Finlandia), coordinati da Jaakko Erkkilä.
 
La ricerca è stata condotta su 79 soggetti affetti da depressione di età compresa tra i 18 e i 50 anni, 33 dei quali hanno seguito, oltre alle terapie standard - antidepressivi, psicoterapia e psicanalisi - anche 20 sedute di musicoterapia durante le quali hanno imparato a suonare uno strumento (come il tamburo o lo xilofono). Dopo tre mesi gli esperti hanno rilevato che i partecipanti che erano stati curati anche con le sessioni musicali mostravano meno sintomi di depressione e ansia e che, inoltre, questi effetti benefici erano visibili anche a distanza di sei mesi.
 
I risultati, spiegano gli studiosi, sono dovuti al fatto che la musica aiuta i pazienti a esprimere le proprie emozioni e a interagire in modo "non verbale", aiutandoli a descrivere le loro esperienze interiori anche quando non riescono a trovare le parole per farlo. «Abbiamo scoperto che attraverso la musica le persone spesso riescono a esprimere i propri sentimenti - spiega Erkkilä -. Alcuni pazienti hanno descritto questa esperienza come un 'gioco catartico'»
 
Fonte: http://salute24.ilsole24ore.com/
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ven

10

feb

2012

Facebook fa aumentare o diminuire l'autostima?

Facebook è per molti, ma non per tutti. Il social network dei record, infatti, è controindicato per le persone con scarsa autostima. Secondo uno studio pubblicato su 'Psychological Science', infatti, questo tipo di cybernauti finisce per bombardare gli amici online con messaggi negativi sulla propria vita, rendendosi sgradevole senza rendersene conto.

"Pensavamo che Facebook potesse essere un posto fantastico per le persone, uno spazio per rafforzare le relazioni", spiega Amanda Forest dell'University of Waterloo, coautrice della ricerca insieme a Joanne Woo. Anche perché "chi soffre di scarsa autostima spesso è a disagio nelle relazioni faccia a faccia", spiega. Invece le cose si sono rivelate diverse. Le ricercatrici hanno prima intervistato un gruppo di studenti sul social network, scoprendo che i giovani con scarsa autostima erano più inclini a giudicare 'FB' come un'opportunità per relazionarsi con gli altri, ma anche un posto 'sicuro' in grado di evitare i rischi legati alle situazioni sociali.

Poi il team ha monitorato il comportamento degli stessi ragazzi in rete, valutando i loro status, gli aggiornamenti e le reazioni degli 'amici'. Ebbene il gruppo di giovani con scarsa autostima si è rivelato più negativo, riscuotendo comunque meno commenti e meno apprezzamenti. Discorso diverso per le frasi positive: gli amici rispondevano molto di più. Ai coetanei più sicuri e positivi questo non accade: anche in caso di rari pensieri negativi, le reazioni degli amici sono numerose e partecipi.

Insomma, alcuni possono considerare il fatto di aprirsi su Facebook come un'opzione sicura e senza rischi, ma il realtà questo può non aiutarli nel rapporto con gli amici. "Anche perchè su FB non si vede la maggior parte delle reazioni altrui", conclude Forest.

 

Articolo tratto da: http://www.adnkronos.com

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lun

14

gen

2013

L’insostenibile Leggerezza del Bugiardo Patologico

FENOMENOLOGIA DEL BUGIARDO PATOLOGICO.

 

L'insostenibile leggerezza del Bugiardo Patologico - © SCPixBit - Fotolia.com - Vostro marito o vostra moglie, il vostro compagno o la vostra compagna, o degli amici dicono tante bugie, spesso senza avere un risvolto pratico? Beh, escludendo ogni patologia a carico del destinatario della menzogna, è possibile si possa avere a che fare con un bugiardo patologico.

Prima di entrare nel vivo del discorso è opportuno comprendere la differenza fra bugiardi patologici e bugiardi compulsivi.

Il bugiardo compulsivo non mente per raggiungere un fine specifico, ma semplicemente per abitudine e soprattutto perché mentire lo fa stare meglio rispetto a quando racconta la verità. Essere sinceri per queste persone diventa un’impresa psicologicamente difficile, così mentono su qualsiasi cosa. La bugia diventa una risposta automatica ed irrefrenabile, compulsiva appunto. Questo tipo di bugiardo, non è manipolativo o almeno non lo è apertamente. Mentre, il bugiardo patologico è colui che mente incessantemente per ottenere qualcosa e lo fa senza curarsi delle conseguenze emotive e comportamentali che questo atteggiamento può avere sugli altri.

In questo caso l’abitudine alla menzogna è vista come meccanismo per affrontare la realtà. Il bugiardo patologico è in genere manipolativo, autocentrato e ben poco empatico rispetto alla dimensione psicologica delle altre persone.

La persona che mente ha interiorizzato da così tanto tempo il meccanismo della menzogna che riesce a conviverci in modo egosintonico e difficilmente percepisce il suo modo di fare come patologico.

 

Il primo passo da realizzare è quindi l’autoconsapevolezza, ovvero rendersi conto di avere un problema su cui lavorare. In seconda battuta va sottolineato che, come ogni altro comportamento che offre comfort e fuga dallo stress, la menzogna può creare dipendenza e assuefazione, quindi si tratta di un qualcosa difficile da disimparare. Come per le tossicodipendenze, se non c’è una forte motivazione a smettere, è difficile che si possa approdare a cambiamenti strutturali per la persona. I bugiardi sono tanto abituati a mentire che, spesse volte, non riescono a distinguere più la realtà dalla fantasia. E’ come se la bugia andasse a sostituire la verità con dei contenuti compensatori che completano perfettamente il puzzle della realtà. Infine, la realtà stessa assume una connotazione di falsità e la bugia diventa la realtà.

 

La prima caratteristica che connota un bugiardo patologico è dichiararsi sostenitori della sincerità e dei valori. Si tratta di persone severamente malate, anche se appaiono normali in superficie, e il loro disturbo può provocare gravissime conseguenze a chi sta loro vicino.
Sono persone che non hanno consapevolezza della loro malattia e credono che mentire sia giusto al fine di proteggere il proprio ego per guadagnare dei benefici. Gli altri, naturalmente, ricevono dai danni gravi in risposta ai comportamenti spietatamente manipolatori, e mendaci messi in atto dal bugiardo. Fondamentalmente, si tratta di persone che sono in grado di inscenare una pantomima della realtà fino ad apparire sinceri al più attento osservatore.
A molti capita di incontrare e conoscere persone con tale disturbo; essi si presentano con grande attorialità, ipocrisia (“ipocrita”, in greco significa attore) e astuzia come persone buone e sincere, quindi utilizzano questa maschera come copertura al fine di poter mentire e raggirare con maggior efficacia. Perciò è molto difficile riconoscerli e si può facilmente diventarne vittima nelle relazioni di amicizia, di lavoro e sentimentali.

 

MENTIRE L’AMORE

A rendere ancora più complicata la situazione è la presenza di un pervasivo disturbo di personalità, in genere narcisistico, nei mentitori patologici.
I narcisisti amano troppo se stessi per riuscire ad amare gli altri. Secondo uno studio statunitense, pubblicato sul “Journal of Personality and Social Psychology”, non sono in grado di mantenere relazioni sentimentali felici e durature. Per il “narciso”, l’amore è un gioco in cui si deve fare sempre la “parte del leone”, per mantenere sempre il potere anche a costo di mentire, tradire e umiliare il partner.
La personalità narcisistica è risultata incompatibile con la possibilità di stabilire relazioni sentimentali soddisfacenti, durature e affettivamente importanti. Infatti, nonostante sia vero che per amare gli altri bisogna prima di tutto amare se stessi, i narcisisti, in realtà, non amano veramente se stessi, ma si sopravvalutano continuamente, a spese di chi sta loro vicino.
Lo studio mette poi in guardia chi cerca un partner: “attenzione a non confondere il narcisismo con l’autostima”, perché l’autostima si concilia benissimo con la capacità di amare, il narcisismo implica necessariamente lo sfruttamento e l’umiliazione del partner. Certo, spesso i narcisisti sono estremamente affascinanti e sfuggenti, ma alla “prova del cuore” rivelano gradualmente la loro vera natura: egoisti, infedeli, manipolatori, prepotenti.
Il manipolatore relazionale è egocentrico; un vampiro psico-affettivo che si nutre dell’essenza vitale delle sue prede. Critica, disprezza, colpevolizza, ricatta, ricordando agli altri i principi morali o il perseguimento della perfezione, ma questo solo quando gli torna utile. E per raggiungere i suoi scopi ricorre a ragionamenti pseudo-logici che capovolgono le situazioni a suo vantaggio.
Spesso la sua comunicazione è paradossale: messaggi opposti in double bind, a cui è impossibile rispondere senza contraddirsi, oppure deforma il significato del discorso.
Si auto-commisera, si deresponsabilizza, non formula richieste esplicite e chiare. Non tollera i rifiuti, vuol sempre avere l’ultima parola per trarre le sue conclusioni, pur non condivise. Muta opinioni e decisioni. Soprattutto mente, insinua sospetti, riferisce malintesi . Simula somatizzazioni ed autosvalutazioni, ma dimostra sostanzialmente disinteresse affettivo.
Si tratta, insomma, di personalità disturbate e disturbanti, con cui ci si può legare sentimentalmente per venire immancabilmente destabilizzati dalla loro perfida influenza.

Concludo citando Kundera ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere”: quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna. Chi è pesante non può fare a meno di innamorarsi perdutamente di chi vola lievemente nell’aria, tra il fantastico e il possibile, mentre i leggeri sono respinti dai loro simili e trascinati dalla ‘compassione’ verso i corpi e le anime possedute dalla pesantezza. Era la vertigine. L’ottenebrante, irresistibile desiderio di cadere. La vertigine potremmo anche chiamarla ebbrezza della debolezza. Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare a essa: la bugia.

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Vazire, S. & Gosling, S. D. (2004). e-Perceptions: Personality impressions based on personal websites. Journal of Personality and Social Psychology, 87, 123-132.
  • Vazire, S., Naumann, L. P., Rentfrow, P. J., & Gosling, S. D. (2008). Portrait of a narcissist: Manifestations of narcissism in physical appearance. Journal of Research in Personality, 42, 1439-1447.
  • Giuseppe Maria Silvio Ierace, (2004). Solstizio D’Estate. Arnoldi editore.
  • Milan Kundera, (2003). L’insostenibile leggerezza dell’essere, Adelphi

 

source: www.stateofmind.it

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lun

14

gen

2013

Pavor Nocturnus: Fantasia o Realtà?

Pavor Nocturnus: bambini in età prescolare con persistenti episodi di pavor nocturnus sono poco in grado di distinguere realtà e fantasia.

 

La maggior parte dei bambini sperimentano paure notturne ad un certo punto del loro sviluppo, e se la maggior parte di loro riesce a risolverli senza alcun intervento professionale, altri lottano a lungo con queste paure, con in rischio di sviluppare disturbi d’ansia più tardi nella vita.  

Come parte di un grande progetto sul pavor nocturnus finanziato dall’Israeli Science Foundation, il Prof. Avi Sadeh della Tel Aviv University’s School of Psychological Sciences, sta esplorando come queste paure si inseriscono nel normale processo di sviluppo e quando diventano problematiche. Insieme ai suoi collaboratori ha scoperto che la capacità del bambino di distinguere la realtà dalla finzione ha un impatto enorme sul superamento del terrore di ciò che si può incontrare nella notte.

Nel loro studio i ricercatori hanno scoperto che bambini in età prescolare con persistenti pavor nocturnus erano molto meno in grado di distinguere la realtà dalla fantasia rispetto ai loro coetanei.  

Per i bambini piccoli, che stanno che stanno ancora sviluppando la capacità di distinguere la realtà dalla fantasia, andare a letto può essere una sfida importante. Infatti, in molti casi è l’unico momento della giornata in cui sono lasciati soli ad affrontare i loro pensieri, sentimenti e le paure; ed è proprio in questi momenti che l’immaginazione corre.

Per testare l’ipotesi che la confusione tra fantasia e realtà ha un forte impatto sulle paure notturne, i ricercatori hanno valutato bambini di quattro-sei anni – 80 con diagnosi di grave pavor nocturnus e 32 con sviluppo più normale – rispetto alla loro capacità di separare la realtà dalla finzione, sulla base delle dichiarazioni dei genitori e di un’intervista standardizzata. 

I risultati indicano che i bambini con paure notturne (pavor nocturnus) più intense erano significativamente meno in grado di distinguere la realtà dalla fantasia. Come previsto sulla base della fase di sviluppo dei bambini, i bambini più piccoli raggiungevano un punteggio più basso rispetto a quelli più grandi. Più basso era il punteggio, i più gravi erano gli episodi di pavor nocturnus del bambino. 

Secondo il Prof. Sadeh, la confusione tra fantasia e realtà può essere utilizzata anche per aiutare i bambini a superare le paure. I genitori e i medici possono utilizzare questa affinità con l’immaginario a beneficio del bambino.  

“Mandiamo ai bambini segnali contrastanti dicendo loro che i mostri non sono reali, ma allo stesso tempo gli raccontiamo della fatina dei denti”, spiega il Prof. Sadeh.

Dire a un bambino che la sua paura non è realistica non basta a risolvere il problema: Sadeh consiglia di utilizzare la fervida immaginazione del bambino come risorsa nel  trattamento, per esempio aiutandolo ad immaginare un mostro apparentemente minaccioso come una figura bonaria con la quale è possibile interagire amichevolmente, o inducendolo a prendersi cura e a rassicurare un cucciolo, un peluche per esempio, triste e spaventato.  Poiché questo intervento dipende dalla possibilità del bambino di credere alla storia del cucciolo e assumere un ruolo compassionevole, funziona meglio per i bambini con maggiore immaginazione.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

 

source: http://www.stateofmind.it/

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gio

19

apr

2012

Cos'è la Sindrome di Rebecca?

All'interno di una coppia, si sa, esiste sempre la gelosia, che si presenta sotto varie forme. Una di queste, abbastanza comune, è chiamata “sindrome di Rebecca”, si tratta della gelosia che si prova per il passato sentimentale del/della partner.

 

 Il problema della gelosia retroattiva è molto più comune di quanto si immagini: spesso infatti le donne e gli uomini (anche se in misura più lieve),  sono gelosi delle fidanzate/i precedenti.

 

Infatti a  chi non ha mai dato fastidio, in un rapporto, lo spettro dell'ex fidanzata/o del suo lui/lei?

Per alcuni è una vera e propria croce. Spesso si tratta di un'autentica fissazione: è normale, infatti, sognare di essere l'unico amore di un uomo o una donna ma, a meno che non abbiate 15 anni, è impossibile.

 

Tuttavia, a volte, le vostre antenne di donna o uomo sospettosa/o non si mettono in moto per pura insicurezza o paranoia. Ecco quando le ansie sono giustificate e come neutralizzare il pericolo:

 

1. Parla molto male della sua ex: la definisce immatura, falsa, arrogante, una che gli ha reso la vita un inferno. Anche se apparentemente può sembrare, date queste parole, che non tornerebbe mai sui suoi passi, in realtà è proprio il contrario. L'ideale è non dargli corda e ricordargli che, in ogni separazione, la colpa va divisa in due.

 

2. Non ne parla mai: ogni volta che chiedi qualcosa di lei/lui, ti risponde che è una storia passata. Se si chiude, vuol dire che non ha ancora digerito la fine del rapporto e a questo punto, la cosa migliore è convincerlo/a ad aprirsi e capire se è ancora preso da lei/lui.

 

3. Sono grandi amici: il rischio è che esista ancora una dipendenza psicologica dall’ ex. Non si riesce a chiudere un rapporto o per paura o perché ci si sente gratificati. Secondo gli esperti, bisogna avere il coraggio di imporre un ultimatum e chiedere di scegliere fra te e l’ex.

 

4. Le/gli perdona tutto: per l’ex si trova sempre una giustificazione. E' inutile demolirla in quanto non servirebbe a niente:  non c’è la volontà di  ammettere di essere stati con la persona sbagliata e idealizzandola si evita di mettersi in discussione. La cosa migliore è evitare di mettersi in competizione con l’ex ma essere sé stessi ed inviare al partner questo messaggio: "Anche se hai preso un abbaglio, ti amo lo stesso. Ora, però, voltiamo pagina".

 

Resta il fatto che la “gelosia dell’ex” nei casi più gravi questo può diventare un disturbo psichiatrico, con episodi di gelosia patologica e comportamenti paranoici e deliranti. Ciò è dovuto ad un disturbo di tipo ossessivo-compulsivo, che aggredisce la mente della persona gelosa di giorno come durante il riposo notturno, fino a farle avere delle difficoltà nel distinguere nettamente tra passato e presente.

 

Nei casi meno gravi la gelosia retroattiva non arriva a tali eccessi, ma resta comunque un comportamento profondamente irrazionale. La persona gelosa del passato tormenta il/la partner con continui interrogatori, aggressioni verbali ingiustificate ed eccessive richieste sessuali.  Nessuna rassicurazione, nessuna prova, potrà riuscire a placare la sua gelosia, che del resto non si basa su aspetti concreti della realtà e dunque è praticamente implacabile.

 

Fonte: www.psicologo-psicoterapeuta-sessuologo.it/

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mar

06

mar

2012

Quando un rapporto finisce: il mal d’amore

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dom

26

feb

2012

Principio del vuoto - Joseph Newton

"Hai l'abitudine di accumulare oggetti inutili, credendo che un giorno, chissà quando, ne avrai bisogno?
Hai l'abitudine di accumulare danaro, solo per non spenderlo, perchè pensi che nel futuro potrà mancarti?
Hai l'abitudine di conservare vestiti, scarpe, mobili, utensili domestici ed altre cose della casa che già non usi da molto tempo?
E dentro di te?
Hai l'abitudine di conservare rimproveri, risentimenti, tristezze, paure ed altro?
Non farlo!
È necessario che lasci uno spazio, un vuoto, affinchè cose nuove arrivino nella tua vita.
È necessario che ti disfi di tutte le cose inutili che sono in te e nella tua vita, affinchè la prosperità arrivi.
La forza di questo vuoto è quello che assorbirà ed attrarrà tutto quello che desideri.
Finchè stai, materialmente o emozionalmente, caricando sentimenti vecchi ed inutili, non avrai spazio per nuove opportunità.
I beni devono circolare. Pulisci i cassetti, gli armadi, la stanza, gli arnesi, il garage... da quello che non usi più.
Non sono gli oggetti conservati quelli che stagnano la tua vita... bensì il significato dell'atteggiamento di conservare...
Quando si conserva, si considera la possibilità di mancanza, di carenza... si crede che domani potrà mancare, e che non avrai maniera di coprire quella necessità.
Con quest'idea, stai inviando due messaggi al tuo cervello e alla tua vita: che non ti fidi del domani e che pensi che il nuovo e il migliore non sono per te, per questo motivo ti rallegri conservando cose vecchie ed inutili.
Disfati di quello che ha perso già colore e lucentezza. Lascia entrare il nuovo in casa tua e dentro te stesso..."

 

fonte: http://dentroilweb.myblog.it/archive/2012/01/13/principio-del-vuoto-joseph-newton.html

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sab

11

feb

2012

La psicoterapia cambia il cervello

Aree attivate e spente. Sul lettino modificazioni biologiche simili a quelle dei farmaci. La risonanza magnetica riabilita gli eredi di Freud: "Una svolta che cambierà il modo di concepire la malatti

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ven

10

feb

2012

La musicoterapia combatte la depressione

Aiuta a esprimere le proprie emozioni, anche quando farlo a parole è difficile: è questo il motivo per cui la musica aiuta a combattere la depressione. Ad affermarlo, in uno studio pubblicato sul British Journal of Psychiatry, sono i ricercatori dell'Università di Jyväskylä (Finlandia), coordinati da Jaakko Erkkilä.
 
La ricerca è stata condotta su 79 soggetti affetti da depressione di età compresa tra i 18 e i 50 anni, 33 dei quali hanno seguito, oltre alle terapie standard - antidepressivi, psicoterapia e psicanalisi - anche 20 sedute di musicoterapia durante le quali hanno imparato a suonare uno strumento (come il tamburo o lo xilofono). Dopo tre mesi gli esperti hanno rilevato che i partecipanti che erano stati curati anche con le sessioni musicali mostravano meno sintomi di depressione e ansia e che, inoltre, questi effetti benefici erano visibili anche a distanza di sei mesi.
 
I risultati, spiegano gli studiosi, sono dovuti al fatto che la musica aiuta i pazienti a esprimere le proprie emozioni e a interagire in modo "non verbale", aiutandoli a descrivere le loro esperienze interiori anche quando non riescono a trovare le parole per farlo. «Abbiamo scoperto che attraverso la musica le persone spesso riescono a esprimere i propri sentimenti - spiega Erkkilä -. Alcuni pazienti hanno descritto questa esperienza come un 'gioco catartico'»
 
Fonte: http://salute24.ilsole24ore.com/
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ven

10

feb

2012

Facebook fa aumentare o diminuire l'autostima?

Facebook è per molti, ma non per tutti. Il social network dei record, infatti, è controindicato per le persone con scarsa autostima. Secondo uno studio pubblicato su 'Psychological Science', infatti, questo tipo di cybernauti finisce per bombardare gli amici online con messaggi negativi sulla propria vita, rendendosi sgradevole senza rendersene conto.

"Pensavamo che Facebook potesse essere un posto fantastico per le persone, uno spazio per rafforzare le relazioni", spiega Amanda Forest dell'University of Waterloo, coautrice della ricerca insieme a Joanne Woo. Anche perché "chi soffre di scarsa autostima spesso è a disagio nelle relazioni faccia a faccia", spiega. Invece le cose si sono rivelate diverse. Le ricercatrici hanno prima intervistato un gruppo di studenti sul social network, scoprendo che i giovani con scarsa autostima erano più inclini a giudicare 'FB' come un'opportunità per relazionarsi con gli altri, ma anche un posto 'sicuro' in grado di evitare i rischi legati alle situazioni sociali.

Poi il team ha monitorato il comportamento degli stessi ragazzi in rete, valutando i loro status, gli aggiornamenti e le reazioni degli 'amici'. Ebbene il gruppo di giovani con scarsa autostima si è rivelato più negativo, riscuotendo comunque meno commenti e meno apprezzamenti. Discorso diverso per le frasi positive: gli amici rispondevano molto di più. Ai coetanei più sicuri e positivi questo non accade: anche in caso di rari pensieri negativi, le reazioni degli amici sono numerose e partecipi.

Insomma, alcuni possono considerare il fatto di aprirsi su Facebook come un'opzione sicura e senza rischi, ma il realtà questo può non aiutarli nel rapporto con gli amici. "Anche perchè su FB non si vede la maggior parte delle reazioni altrui", conclude Forest.

 

Articolo tratto da: http://www.adnkronos.com

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lun

14

gen

2013

L’insostenibile Leggerezza del Bugiardo Patologico

FENOMENOLOGIA DEL BUGIARDO PATOLOGICO.

 

L'insostenibile leggerezza del Bugiardo Patologico - © SCPixBit - Fotolia.com - Vostro marito o vostra moglie, il vostro compagno o la vostra compagna, o degli amici dicono tante bugie, spesso senza avere un risvolto pratico? Beh, escludendo ogni patologia a carico del destinatario della menzogna, è possibile si possa avere a che fare con un bugiardo patologico.

Prima di entrare nel vivo del discorso è opportuno comprendere la differenza fra bugiardi patologici e bugiardi compulsivi.

Il bugiardo compulsivo non mente per raggiungere un fine specifico, ma semplicemente per abitudine e soprattutto perché mentire lo fa stare meglio rispetto a quando racconta la verità. Essere sinceri per queste persone diventa un’impresa psicologicamente difficile, così mentono su qualsiasi cosa. La bugia diventa una risposta automatica ed irrefrenabile, compulsiva appunto. Questo tipo di bugiardo, non è manipolativo o almeno non lo è apertamente. Mentre, il bugiardo patologico è colui che mente incessantemente per ottenere qualcosa e lo fa senza curarsi delle conseguenze emotive e comportamentali che questo atteggiamento può avere sugli altri.

In questo caso l’abitudine alla menzogna è vista come meccanismo per affrontare la realtà. Il bugiardo patologico è in genere manipolativo, autocentrato e ben poco empatico rispetto alla dimensione psicologica delle altre persone.

La persona che mente ha interiorizzato da così tanto tempo il meccanismo della menzogna che riesce a conviverci in modo egosintonico e difficilmente percepisce il suo modo di fare come patologico.

 

Il primo passo da realizzare è quindi l’autoconsapevolezza, ovvero rendersi conto di avere un problema su cui lavorare. In seconda battuta va sottolineato che, come ogni altro comportamento che offre comfort e fuga dallo stress, la menzogna può creare dipendenza e assuefazione, quindi si tratta di un qualcosa difficile da disimparare. Come per le tossicodipendenze, se non c’è una forte motivazione a smettere, è difficile che si possa approdare a cambiamenti strutturali per la persona. I bugiardi sono tanto abituati a mentire che, spesse volte, non riescono a distinguere più la realtà dalla fantasia. E’ come se la bugia andasse a sostituire la verità con dei contenuti compensatori che completano perfettamente il puzzle della realtà. Infine, la realtà stessa assume una connotazione di falsità e la bugia diventa la realtà.

 

La prima caratteristica che connota un bugiardo patologico è dichiararsi sostenitori della sincerità e dei valori. Si tratta di persone severamente malate, anche se appaiono normali in superficie, e il loro disturbo può provocare gravissime conseguenze a chi sta loro vicino.
Sono persone che non hanno consapevolezza della loro malattia e credono che mentire sia giusto al fine di proteggere il proprio ego per guadagnare dei benefici. Gli altri, naturalmente, ricevono dai danni gravi in risposta ai comportamenti spietatamente manipolatori, e mendaci messi in atto dal bugiardo. Fondamentalmente, si tratta di persone che sono in grado di inscenare una pantomima della realtà fino ad apparire sinceri al più attento osservatore.
A molti capita di incontrare e conoscere persone con tale disturbo; essi si presentano con grande attorialità, ipocrisia (“ipocrita”, in greco significa attore) e astuzia come persone buone e sincere, quindi utilizzano questa maschera come copertura al fine di poter mentire e raggirare con maggior efficacia. Perciò è molto difficile riconoscerli e si può facilmente diventarne vittima nelle relazioni di amicizia, di lavoro e sentimentali.

 

MENTIRE L’AMORE

A rendere ancora più complicata la situazione è la presenza di un pervasivo disturbo di personalità, in genere narcisistico, nei mentitori patologici.
I narcisisti amano troppo se stessi per riuscire ad amare gli altri. Secondo uno studio statunitense, pubblicato sul “Journal of Personality and Social Psychology”, non sono in grado di mantenere relazioni sentimentali felici e durature. Per il “narciso”, l’amore è un gioco in cui si deve fare sempre la “parte del leone”, per mantenere sempre il potere anche a costo di mentire, tradire e umiliare il partner.
La personalità narcisistica è risultata incompatibile con la possibilità di stabilire relazioni sentimentali soddisfacenti, durature e affettivamente importanti. Infatti, nonostante sia vero che per amare gli altri bisogna prima di tutto amare se stessi, i narcisisti, in realtà, non amano veramente se stessi, ma si sopravvalutano continuamente, a spese di chi sta loro vicino.
Lo studio mette poi in guardia chi cerca un partner: “attenzione a non confondere il narcisismo con l’autostima”, perché l’autostima si concilia benissimo con la capacità di amare, il narcisismo implica necessariamente lo sfruttamento e l’umiliazione del partner. Certo, spesso i narcisisti sono estremamente affascinanti e sfuggenti, ma alla “prova del cuore” rivelano gradualmente la loro vera natura: egoisti, infedeli, manipolatori, prepotenti.
Il manipolatore relazionale è egocentrico; un vampiro psico-affettivo che si nutre dell’essenza vitale delle sue prede. Critica, disprezza, colpevolizza, ricatta, ricordando agli altri i principi morali o il perseguimento della perfezione, ma questo solo quando gli torna utile. E per raggiungere i suoi scopi ricorre a ragionamenti pseudo-logici che capovolgono le situazioni a suo vantaggio.
Spesso la sua comunicazione è paradossale: messaggi opposti in double bind, a cui è impossibile rispondere senza contraddirsi, oppure deforma il significato del discorso.
Si auto-commisera, si deresponsabilizza, non formula richieste esplicite e chiare. Non tollera i rifiuti, vuol sempre avere l’ultima parola per trarre le sue conclusioni, pur non condivise. Muta opinioni e decisioni. Soprattutto mente, insinua sospetti, riferisce malintesi . Simula somatizzazioni ed autosvalutazioni, ma dimostra sostanzialmente disinteresse affettivo.
Si tratta, insomma, di personalità disturbate e disturbanti, con cui ci si può legare sentimentalmente per venire immancabilmente destabilizzati dalla loro perfida influenza.

Concludo citando Kundera ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere”: quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna. Chi è pesante non può fare a meno di innamorarsi perdutamente di chi vola lievemente nell’aria, tra il fantastico e il possibile, mentre i leggeri sono respinti dai loro simili e trascinati dalla ‘compassione’ verso i corpi e le anime possedute dalla pesantezza. Era la vertigine. L’ottenebrante, irresistibile desiderio di cadere. La vertigine potremmo anche chiamarla ebbrezza della debolezza. Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare a essa: la bugia.

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Vazire, S. & Gosling, S. D. (2004). e-Perceptions: Personality impressions based on personal websites. Journal of Personality and Social Psychology, 87, 123-132.
  • Vazire, S., Naumann, L. P., Rentfrow, P. J., & Gosling, S. D. (2008). Portrait of a narcissist: Manifestations of narcissism in physical appearance. Journal of Research in Personality, 42, 1439-1447.
  • Giuseppe Maria Silvio Ierace, (2004). Solstizio D’Estate. Arnoldi editore.
  • Milan Kundera, (2003). L’insostenibile leggerezza dell’essere, Adelphi

 

source: www.stateofmind.it

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lun

14

gen

2013

Pavor Nocturnus: Fantasia o Realtà?

Pavor Nocturnus: bambini in età prescolare con persistenti episodi di pavor nocturnus sono poco in grado di distinguere realtà e fantasia.

 

La maggior parte dei bambini sperimentano paure notturne ad un certo punto del loro sviluppo, e se la maggior parte di loro riesce a risolverli senza alcun intervento professionale, altri lottano a lungo con queste paure, con in rischio di sviluppare disturbi d’ansia più tardi nella vita.  

Come parte di un grande progetto sul pavor nocturnus finanziato dall’Israeli Science Foundation, il Prof. Avi Sadeh della Tel Aviv University’s School of Psychological Sciences, sta esplorando come queste paure si inseriscono nel normale processo di sviluppo e quando diventano problematiche. Insieme ai suoi collaboratori ha scoperto che la capacità del bambino di distinguere la realtà dalla finzione ha un impatto enorme sul superamento del terrore di ciò che si può incontrare nella notte.

Nel loro studio i ricercatori hanno scoperto che bambini in età prescolare con persistenti pavor nocturnus erano molto meno in grado di distinguere la realtà dalla fantasia rispetto ai loro coetanei.  

Per i bambini piccoli, che stanno che stanno ancora sviluppando la capacità di distinguere la realtà dalla fantasia, andare a letto può essere una sfida importante. Infatti, in molti casi è l’unico momento della giornata in cui sono lasciati soli ad affrontare i loro pensieri, sentimenti e le paure; ed è proprio in questi momenti che l’immaginazione corre.

Per testare l’ipotesi che la confusione tra fantasia e realtà ha un forte impatto sulle paure notturne, i ricercatori hanno valutato bambini di quattro-sei anni – 80 con diagnosi di grave pavor nocturnus e 32 con sviluppo più normale – rispetto alla loro capacità di separare la realtà dalla finzione, sulla base delle dichiarazioni dei genitori e di un’intervista standardizzata. 

I risultati indicano che i bambini con paure notturne (pavor nocturnus) più intense erano significativamente meno in grado di distinguere la realtà dalla fantasia. Come previsto sulla base della fase di sviluppo dei bambini, i bambini più piccoli raggiungevano un punteggio più basso rispetto a quelli più grandi. Più basso era il punteggio, i più gravi erano gli episodi di pavor nocturnus del bambino. 

Secondo il Prof. Sadeh, la confusione tra fantasia e realtà può essere utilizzata anche per aiutare i bambini a superare le paure. I genitori e i medici possono utilizzare questa affinità con l’immaginario a beneficio del bambino.  

“Mandiamo ai bambini segnali contrastanti dicendo loro che i mostri non sono reali, ma allo stesso tempo gli raccontiamo della fatina dei denti”, spiega il Prof. Sadeh.

Dire a un bambino che la sua paura non è realistica non basta a risolvere il problema: Sadeh consiglia di utilizzare la fervida immaginazione del bambino come risorsa nel  trattamento, per esempio aiutandolo ad immaginare un mostro apparentemente minaccioso come una figura bonaria con la quale è possibile interagire amichevolmente, o inducendolo a prendersi cura e a rassicurare un cucciolo, un peluche per esempio, triste e spaventato.  Poiché questo intervento dipende dalla possibilità del bambino di credere alla storia del cucciolo e assumere un ruolo compassionevole, funziona meglio per i bambini con maggiore immaginazione.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

 

source: http://www.stateofmind.it/

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gio

19

apr

2012

Cos'è la Sindrome di Rebecca?

All'interno di una coppia, si sa, esiste sempre la gelosia, che si presenta sotto varie forme. Una di queste, abbastanza comune, è chiamata “sindrome di Rebecca”, si tratta della gelosia che si prova per il passato sentimentale del/della partner.

 

 Il problema della gelosia retroattiva è molto più comune di quanto si immagini: spesso infatti le donne e gli uomini (anche se in misura più lieve),  sono gelosi delle fidanzate/i precedenti.

 

Infatti a  chi non ha mai dato fastidio, in un rapporto, lo spettro dell'ex fidanzata/o del suo lui/lei?

Per alcuni è una vera e propria croce. Spesso si tratta di un'autentica fissazione: è normale, infatti, sognare di essere l'unico amore di un uomo o una donna ma, a meno che non abbiate 15 anni, è impossibile.

 

Tuttavia, a volte, le vostre antenne di donna o uomo sospettosa/o non si mettono in moto per pura insicurezza o paranoia. Ecco quando le ansie sono giustificate e come neutralizzare il pericolo:

 

1. Parla molto male della sua ex: la definisce immatura, falsa, arrogante, una che gli ha reso la vita un inferno. Anche se apparentemente può sembrare, date queste parole, che non tornerebbe mai sui suoi passi, in realtà è proprio il contrario. L'ideale è non dargli corda e ricordargli che, in ogni separazione, la colpa va divisa in due.

 

2. Non ne parla mai: ogni volta che chiedi qualcosa di lei/lui, ti risponde che è una storia passata. Se si chiude, vuol dire che non ha ancora digerito la fine del rapporto e a questo punto, la cosa migliore è convincerlo/a ad aprirsi e capire se è ancora preso da lei/lui.

 

3. Sono grandi amici: il rischio è che esista ancora una dipendenza psicologica dall’ ex. Non si riesce a chiudere un rapporto o per paura o perché ci si sente gratificati. Secondo gli esperti, bisogna avere il coraggio di imporre un ultimatum e chiedere di scegliere fra te e l’ex.

 

4. Le/gli perdona tutto: per l’ex si trova sempre una giustificazione. E' inutile demolirla in quanto non servirebbe a niente:  non c’è la volontà di  ammettere di essere stati con la persona sbagliata e idealizzandola si evita di mettersi in discussione. La cosa migliore è evitare di mettersi in competizione con l’ex ma essere sé stessi ed inviare al partner questo messaggio: "Anche se hai preso un abbaglio, ti amo lo stesso. Ora, però, voltiamo pagina".

 

Resta il fatto che la “gelosia dell’ex” nei casi più gravi questo può diventare un disturbo psichiatrico, con episodi di gelosia patologica e comportamenti paranoici e deliranti. Ciò è dovuto ad un disturbo di tipo ossessivo-compulsivo, che aggredisce la mente della persona gelosa di giorno come durante il riposo notturno, fino a farle avere delle difficoltà nel distinguere nettamente tra passato e presente.

 

Nei casi meno gravi la gelosia retroattiva non arriva a tali eccessi, ma resta comunque un comportamento profondamente irrazionale. La persona gelosa del passato tormenta il/la partner con continui interrogatori, aggressioni verbali ingiustificate ed eccessive richieste sessuali.  Nessuna rassicurazione, nessuna prova, potrà riuscire a placare la sua gelosia, che del resto non si basa su aspetti concreti della realtà e dunque è praticamente implacabile.

 

Fonte: www.psicologo-psicoterapeuta-sessuologo.it/

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mar

06

mar

2012

Quando un rapporto finisce: il mal d’amore

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dom

26

feb

2012

Principio del vuoto - Joseph Newton

"Hai l'abitudine di accumulare oggetti inutili, credendo che un giorno, chissà quando, ne avrai bisogno?
Hai l'abitudine di accumulare danaro, solo per non spenderlo, perchè pensi che nel futuro potrà mancarti?
Hai l'abitudine di conservare vestiti, scarpe, mobili, utensili domestici ed altre cose della casa che già non usi da molto tempo?
E dentro di te?
Hai l'abitudine di conservare rimproveri, risentimenti, tristezze, paure ed altro?
Non farlo!
È necessario che lasci uno spazio, un vuoto, affinchè cose nuove arrivino nella tua vita.
È necessario che ti disfi di tutte le cose inutili che sono in te e nella tua vita, affinchè la prosperità arrivi.
La forza di questo vuoto è quello che assorbirà ed attrarrà tutto quello che desideri.
Finchè stai, materialmente o emozionalmente, caricando sentimenti vecchi ed inutili, non avrai spazio per nuove opportunità.
I beni devono circolare. Pulisci i cassetti, gli armadi, la stanza, gli arnesi, il garage... da quello che non usi più.
Non sono gli oggetti conservati quelli che stagnano la tua vita... bensì il significato dell'atteggiamento di conservare...
Quando si conserva, si considera la possibilità di mancanza, di carenza... si crede che domani potrà mancare, e che non avrai maniera di coprire quella necessità.
Con quest'idea, stai inviando due messaggi al tuo cervello e alla tua vita: che non ti fidi del domani e che pensi che il nuovo e il migliore non sono per te, per questo motivo ti rallegri conservando cose vecchie ed inutili.
Disfati di quello che ha perso già colore e lucentezza. Lascia entrare il nuovo in casa tua e dentro te stesso..."

 

fonte: http://dentroilweb.myblog.it/archive/2012/01/13/principio-del-vuoto-joseph-newton.html

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sab

11

feb

2012

La psicoterapia cambia il cervello

Aree attivate e spente. Sul lettino modificazioni biologiche simili a quelle dei farmaci. La risonanza magnetica riabilita gli eredi di Freud: "Una svolta che cambierà il modo di concepire la malatti

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ven

10

feb

2012

La musicoterapia combatte la depressione

Aiuta a esprimere le proprie emozioni, anche quando farlo a parole è difficile: è questo il motivo per cui la musica aiuta a combattere la depressione. Ad affermarlo, in uno studio pubblicato sul British Journal of Psychiatry, sono i ricercatori dell'Università di Jyväskylä (Finlandia), coordinati da Jaakko Erkkilä.
 
La ricerca è stata condotta su 79 soggetti affetti da depressione di età compresa tra i 18 e i 50 anni, 33 dei quali hanno seguito, oltre alle terapie standard - antidepressivi, psicoterapia e psicanalisi - anche 20 sedute di musicoterapia durante le quali hanno imparato a suonare uno strumento (come il tamburo o lo xilofono). Dopo tre mesi gli esperti hanno rilevato che i partecipanti che erano stati curati anche con le sessioni musicali mostravano meno sintomi di depressione e ansia e che, inoltre, questi effetti benefici erano visibili anche a distanza di sei mesi.
 
I risultati, spiegano gli studiosi, sono dovuti al fatto che la musica aiuta i pazienti a esprimere le proprie emozioni e a interagire in modo "non verbale", aiutandoli a descrivere le loro esperienze interiori anche quando non riescono a trovare le parole per farlo. «Abbiamo scoperto che attraverso la musica le persone spesso riescono a esprimere i propri sentimenti - spiega Erkkilä -. Alcuni pazienti hanno descritto questa esperienza come un 'gioco catartico'»
 
Fonte: http://salute24.ilsole24ore.com/
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ven

10

feb

2012

Facebook fa aumentare o diminuire l'autostima?

Facebook è per molti, ma non per tutti. Il social network dei record, infatti, è controindicato per le persone con scarsa autostima. Secondo uno studio pubblicato su 'Psychological Science', infatti, questo tipo di cybernauti finisce per bombardare gli amici online con messaggi negativi sulla propria vita, rendendosi sgradevole senza rendersene conto.

"Pensavamo che Facebook potesse essere un posto fantastico per le persone, uno spazio per rafforzare le relazioni", spiega Amanda Forest dell'University of Waterloo, coautrice della ricerca insieme a Joanne Woo. Anche perché "chi soffre di scarsa autostima spesso è a disagio nelle relazioni faccia a faccia", spiega. Invece le cose si sono rivelate diverse. Le ricercatrici hanno prima intervistato un gruppo di studenti sul social network, scoprendo che i giovani con scarsa autostima erano più inclini a giudicare 'FB' come un'opportunità per relazionarsi con gli altri, ma anche un posto 'sicuro' in grado di evitare i rischi legati alle situazioni sociali.

Poi il team ha monitorato il comportamento degli stessi ragazzi in rete, valutando i loro status, gli aggiornamenti e le reazioni degli 'amici'. Ebbene il gruppo di giovani con scarsa autostima si è rivelato più negativo, riscuotendo comunque meno commenti e meno apprezzamenti. Discorso diverso per le frasi positive: gli amici rispondevano molto di più. Ai coetanei più sicuri e positivi questo non accade: anche in caso di rari pensieri negativi, le reazioni degli amici sono numerose e partecipi.

Insomma, alcuni possono considerare il fatto di aprirsi su Facebook come un'opzione sicura e senza rischi, ma il realtà questo può non aiutarli nel rapporto con gli amici. "Anche perchè su FB non si vede la maggior parte delle reazioni altrui", conclude Forest.

 

Articolo tratto da: http://www.adnkronos.com

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lun

14

gen

2013

L’insostenibile Leggerezza del Bugiardo Patologico

FENOMENOLOGIA DEL BUGIARDO PATOLOGICO.

 

L'insostenibile leggerezza del Bugiardo Patologico - © SCPixBit - Fotolia.com - Vostro marito o vostra moglie, il vostro compagno o la vostra compagna, o degli amici dicono tante bugie, spesso senza avere un risvolto pratico? Beh, escludendo ogni patologia a carico del destinatario della menzogna, è possibile si possa avere a che fare con un bugiardo patologico.

Prima di entrare nel vivo del discorso è opportuno comprendere la differenza fra bugiardi patologici e bugiardi compulsivi.

Il bugiardo compulsivo non mente per raggiungere un fine specifico, ma semplicemente per abitudine e soprattutto perché mentire lo fa stare meglio rispetto a quando racconta la verità. Essere sinceri per queste persone diventa un’impresa psicologicamente difficile, così mentono su qualsiasi cosa. La bugia diventa una risposta automatica ed irrefrenabile, compulsiva appunto. Questo tipo di bugiardo, non è manipolativo o almeno non lo è apertamente. Mentre, il bugiardo patologico è colui che mente incessantemente per ottenere qualcosa e lo fa senza curarsi delle conseguenze emotive e comportamentali che questo atteggiamento può avere sugli altri.

In questo caso l’abitudine alla menzogna è vista come meccanismo per affrontare la realtà. Il bugiardo patologico è in genere manipolativo, autocentrato e ben poco empatico rispetto alla dimensione psicologica delle altre persone.

La persona che mente ha interiorizzato da così tanto tempo il meccanismo della menzogna che riesce a conviverci in modo egosintonico e difficilmente percepisce il suo modo di fare come patologico.

 

Il primo passo da realizzare è quindi l’autoconsapevolezza, ovvero rendersi conto di avere un problema su cui lavorare. In seconda battuta va sottolineato che, come ogni altro comportamento che offre comfort e fuga dallo stress, la menzogna può creare dipendenza e assuefazione, quindi si tratta di un qualcosa difficile da disimparare. Come per le tossicodipendenze, se non c’è una forte motivazione a smettere, è difficile che si possa approdare a cambiamenti strutturali per la persona. I bugiardi sono tanto abituati a mentire che, spesse volte, non riescono a distinguere più la realtà dalla fantasia. E’ come se la bugia andasse a sostituire la verità con dei contenuti compensatori che completano perfettamente il puzzle della realtà. Infine, la realtà stessa assume una connotazione di falsità e la bugia diventa la realtà.

 

La prima caratteristica che connota un bugiardo patologico è dichiararsi sostenitori della sincerità e dei valori. Si tratta di persone severamente malate, anche se appaiono normali in superficie, e il loro disturbo può provocare gravissime conseguenze a chi sta loro vicino.
Sono persone che non hanno consapevolezza della loro malattia e credono che mentire sia giusto al fine di proteggere il proprio ego per guadagnare dei benefici. Gli altri, naturalmente, ricevono dai danni gravi in risposta ai comportamenti spietatamente manipolatori, e mendaci messi in atto dal bugiardo. Fondamentalmente, si tratta di persone che sono in grado di inscenare una pantomima della realtà fino ad apparire sinceri al più attento osservatore.
A molti capita di incontrare e conoscere persone con tale disturbo; essi si presentano con grande attorialità, ipocrisia (“ipocrita”, in greco significa attore) e astuzia come persone buone e sincere, quindi utilizzano questa maschera come copertura al fine di poter mentire e raggirare con maggior efficacia. Perciò è molto difficile riconoscerli e si può facilmente diventarne vittima nelle relazioni di amicizia, di lavoro e sentimentali.

 

MENTIRE L’AMORE

A rendere ancora più complicata la situazione è la presenza di un pervasivo disturbo di personalità, in genere narcisistico, nei mentitori patologici.
I narcisisti amano troppo se stessi per riuscire ad amare gli altri. Secondo uno studio statunitense, pubblicato sul “Journal of Personality and Social Psychology”, non sono in grado di mantenere relazioni sentimentali felici e durature. Per il “narciso”, l’amore è un gioco in cui si deve fare sempre la “parte del leone”, per mantenere sempre il potere anche a costo di mentire, tradire e umiliare il partner.
La personalità narcisistica è risultata incompatibile con la possibilità di stabilire relazioni sentimentali soddisfacenti, durature e affettivamente importanti. Infatti, nonostante sia vero che per amare gli altri bisogna prima di tutto amare se stessi, i narcisisti, in realtà, non amano veramente se stessi, ma si sopravvalutano continuamente, a spese di chi sta loro vicino.
Lo studio mette poi in guardia chi cerca un partner: “attenzione a non confondere il narcisismo con l’autostima”, perché l’autostima si concilia benissimo con la capacità di amare, il narcisismo implica necessariamente lo sfruttamento e l’umiliazione del partner. Certo, spesso i narcisisti sono estremamente affascinanti e sfuggenti, ma alla “prova del cuore” rivelano gradualmente la loro vera natura: egoisti, infedeli, manipolatori, prepotenti.
Il manipolatore relazionale è egocentrico; un vampiro psico-affettivo che si nutre dell’essenza vitale delle sue prede. Critica, disprezza, colpevolizza, ricatta, ricordando agli altri i principi morali o il perseguimento della perfezione, ma questo solo quando gli torna utile. E per raggiungere i suoi scopi ricorre a ragionamenti pseudo-logici che capovolgono le situazioni a suo vantaggio.
Spesso la sua comunicazione è paradossale: messaggi opposti in double bind, a cui è impossibile rispondere senza contraddirsi, oppure deforma il significato del discorso.
Si auto-commisera, si deresponsabilizza, non formula richieste esplicite e chiare. Non tollera i rifiuti, vuol sempre avere l’ultima parola per trarre le sue conclusioni, pur non condivise. Muta opinioni e decisioni. Soprattutto mente, insinua sospetti, riferisce malintesi . Simula somatizzazioni ed autosvalutazioni, ma dimostra sostanzialmente disinteresse affettivo.
Si tratta, insomma, di personalità disturbate e disturbanti, con cui ci si può legare sentimentalmente per venire immancabilmente destabilizzati dalla loro perfida influenza.

Concludo citando Kundera ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere”: quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna. Chi è pesante non può fare a meno di innamorarsi perdutamente di chi vola lievemente nell’aria, tra il fantastico e il possibile, mentre i leggeri sono respinti dai loro simili e trascinati dalla ‘compassione’ verso i corpi e le anime possedute dalla pesantezza. Era la vertigine. L’ottenebrante, irresistibile desiderio di cadere. La vertigine potremmo anche chiamarla ebbrezza della debolezza. Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare a essa: la bugia.

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Vazire, S. & Gosling, S. D. (2004). e-Perceptions: Personality impressions based on personal websites. Journal of Personality and Social Psychology, 87, 123-132.
  • Vazire, S., Naumann, L. P., Rentfrow, P. J., & Gosling, S. D. (2008). Portrait of a narcissist: Manifestations of narcissism in physical appearance. Journal of Research in Personality, 42, 1439-1447.
  • Giuseppe Maria Silvio Ierace, (2004). Solstizio D’Estate. Arnoldi editore.
  • Milan Kundera, (2003). L’insostenibile leggerezza dell’essere, Adelphi

 

source: www.stateofmind.it

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14

gen

2013

Pavor Nocturnus: Fantasia o Realtà?

Pavor Nocturnus: bambini in età prescolare con persistenti episodi di pavor nocturnus sono poco in grado di distinguere realtà e fantasia.

 

La maggior parte dei bambini sperimentano paure notturne ad un certo punto del loro sviluppo, e se la maggior parte di loro riesce a risolverli senza alcun intervento professionale, altri lottano a lungo con queste paure, con in rischio di sviluppare disturbi d’ansia più tardi nella vita.  

Come parte di un grande progetto sul pavor nocturnus finanziato dall’Israeli Science Foundation, il Prof. Avi Sadeh della Tel Aviv University’s School of Psychological Sciences, sta esplorando come queste paure si inseriscono nel normale processo di sviluppo e quando diventano problematiche. Insieme ai suoi collaboratori ha scoperto che la capacità del bambino di distinguere la realtà dalla finzione ha un impatto enorme sul superamento del terrore di ciò che si può incontrare nella notte.

Nel loro studio i ricercatori hanno scoperto che bambini in età prescolare con persistenti pavor nocturnus erano molto meno in grado di distinguere la realtà dalla fantasia rispetto ai loro coetanei.  

Per i bambini piccoli, che stanno che stanno ancora sviluppando la capacità di distinguere la realtà dalla fantasia, andare a letto può essere una sfida importante. Infatti, in molti casi è l’unico momento della giornata in cui sono lasciati soli ad affrontare i loro pensieri, sentimenti e le paure; ed è proprio in questi momenti che l’immaginazione corre.

Per testare l’ipotesi che la confusione tra fantasia e realtà ha un forte impatto sulle paure notturne, i ricercatori hanno valutato bambini di quattro-sei anni – 80 con diagnosi di grave pavor nocturnus e 32 con sviluppo più normale – rispetto alla loro capacità di separare la realtà dalla finzione, sulla base delle dichiarazioni dei genitori e di un’intervista standardizzata. 

I risultati indicano che i bambini con paure notturne (pavor nocturnus) più intense erano significativamente meno in grado di distinguere la realtà dalla fantasia. Come previsto sulla base della fase di sviluppo dei bambini, i bambini più piccoli raggiungevano un punteggio più basso rispetto a quelli più grandi. Più basso era il punteggio, i più gravi erano gli episodi di pavor nocturnus del bambino. 

Secondo il Prof. Sadeh, la confusione tra fantasia e realtà può essere utilizzata anche per aiutare i bambini a superare le paure. I genitori e i medici possono utilizzare questa affinità con l’immaginario a beneficio del bambino.  

“Mandiamo ai bambini segnali contrastanti dicendo loro che i mostri non sono reali, ma allo stesso tempo gli raccontiamo della fatina dei denti”, spiega il Prof. Sadeh.

Dire a un bambino che la sua paura non è realistica non basta a risolvere il problema: Sadeh consiglia di utilizzare la fervida immaginazione del bambino come risorsa nel  trattamento, per esempio aiutandolo ad immaginare un mostro apparentemente minaccioso come una figura bonaria con la quale è possibile interagire amichevolmente, o inducendolo a prendersi cura e a rassicurare un cucciolo, un peluche per esempio, triste e spaventato.  Poiché questo intervento dipende dalla possibilità del bambino di credere alla storia del cucciolo e assumere un ruolo compassionevole, funziona meglio per i bambini con maggiore immaginazione.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

 

source: http://www.stateofmind.it/

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gio

19

apr

2012

Cos'è la Sindrome di Rebecca?

All'interno di una coppia, si sa, esiste sempre la gelosia, che si presenta sotto varie forme. Una di queste, abbastanza comune, è chiamata “sindrome di Rebecca”, si tratta della gelosia che si prova per il passato sentimentale del/della partner.

 

 Il problema della gelosia retroattiva è molto più comune di quanto si immagini: spesso infatti le donne e gli uomini (anche se in misura più lieve),  sono gelosi delle fidanzate/i precedenti.

 

Infatti a  chi non ha mai dato fastidio, in un rapporto, lo spettro dell'ex fidanzata/o del suo lui/lei?

Per alcuni è una vera e propria croce. Spesso si tratta di un'autentica fissazione: è normale, infatti, sognare di essere l'unico amore di un uomo o una donna ma, a meno che non abbiate 15 anni, è impossibile.

 

Tuttavia, a volte, le vostre antenne di donna o uomo sospettosa/o non si mettono in moto per pura insicurezza o paranoia. Ecco quando le ansie sono giustificate e come neutralizzare il pericolo:

 

1. Parla molto male della sua ex: la definisce immatura, falsa, arrogante, una che gli ha reso la vita un inferno. Anche se apparentemente può sembrare, date queste parole, che non tornerebbe mai sui suoi passi, in realtà è proprio il contrario. L'ideale è non dargli corda e ricordargli che, in ogni separazione, la colpa va divisa in due.

 

2. Non ne parla mai: ogni volta che chiedi qualcosa di lei/lui, ti risponde che è una storia passata. Se si chiude, vuol dire che non ha ancora digerito la fine del rapporto e a questo punto, la cosa migliore è convincerlo/a ad aprirsi e capire se è ancora preso da lei/lui.

 

3. Sono grandi amici: il rischio è che esista ancora una dipendenza psicologica dall’ ex. Non si riesce a chiudere un rapporto o per paura o perché ci si sente gratificati. Secondo gli esperti, bisogna avere il coraggio di imporre un ultimatum e chiedere di scegliere fra te e l’ex.

 

4. Le/gli perdona tutto: per l’ex si trova sempre una giustificazione. E' inutile demolirla in quanto non servirebbe a niente:  non c’è la volontà di  ammettere di essere stati con la persona sbagliata e idealizzandola si evita di mettersi in discussione. La cosa migliore è evitare di mettersi in competizione con l’ex ma essere sé stessi ed inviare al partner questo messaggio: "Anche se hai preso un abbaglio, ti amo lo stesso. Ora, però, voltiamo pagina".

 

Resta il fatto che la “gelosia dell’ex” nei casi più gravi questo può diventare un disturbo psichiatrico, con episodi di gelosia patologica e comportamenti paranoici e deliranti. Ciò è dovuto ad un disturbo di tipo ossessivo-compulsivo, che aggredisce la mente della persona gelosa di giorno come durante il riposo notturno, fino a farle avere delle difficoltà nel distinguere nettamente tra passato e presente.

 

Nei casi meno gravi la gelosia retroattiva non arriva a tali eccessi, ma resta comunque un comportamento profondamente irrazionale. La persona gelosa del passato tormenta il/la partner con continui interrogatori, aggressioni verbali ingiustificate ed eccessive richieste sessuali.  Nessuna rassicurazione, nessuna prova, potrà riuscire a placare la sua gelosia, che del resto non si basa su aspetti concreti della realtà e dunque è praticamente implacabile.

 

Fonte: www.psicologo-psicoterapeuta-sessuologo.it/

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mar

06

mar

2012

Quando un rapporto finisce: il mal d’amore

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dom

26

feb

2012

Principio del vuoto - Joseph Newton

"Hai l'abitudine di accumulare oggetti inutili, credendo che un giorno, chissà quando, ne avrai bisogno?
Hai l'abitudine di accumulare danaro, solo per non spenderlo, perchè pensi che nel futuro potrà mancarti?
Hai l'abitudine di conservare vestiti, scarpe, mobili, utensili domestici ed altre cose della casa che già non usi da molto tempo?
E dentro di te?
Hai l'abitudine di conservare rimproveri, risentimenti, tristezze, paure ed altro?
Non farlo!
È necessario che lasci uno spazio, un vuoto, affinchè cose nuove arrivino nella tua vita.
È necessario che ti disfi di tutte le cose inutili che sono in te e nella tua vita, affinchè la prosperità arrivi.
La forza di questo vuoto è quello che assorbirà ed attrarrà tutto quello che desideri.
Finchè stai, materialmente o emozionalmente, caricando sentimenti vecchi ed inutili, non avrai spazio per nuove opportunità.
I beni devono circolare. Pulisci i cassetti, gli armadi, la stanza, gli arnesi, il garage... da quello che non usi più.
Non sono gli oggetti conservati quelli che stagnano la tua vita... bensì il significato dell'atteggiamento di conservare...
Quando si conserva, si considera la possibilità di mancanza, di carenza... si crede che domani potrà mancare, e che non avrai maniera di coprire quella necessità.
Con quest'idea, stai inviando due messaggi al tuo cervello e alla tua vita: che non ti fidi del domani e che pensi che il nuovo e il migliore non sono per te, per questo motivo ti rallegri conservando cose vecchie ed inutili.
Disfati di quello che ha perso già colore e lucentezza. Lascia entrare il nuovo in casa tua e dentro te stesso..."

 

fonte: http://dentroilweb.myblog.it/archive/2012/01/13/principio-del-vuoto-joseph-newton.html

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sab

11

feb

2012

La psicoterapia cambia il cervello

Aree attivate e spente. Sul lettino modificazioni biologiche simili a quelle dei farmaci. La risonanza magnetica riabilita gli eredi di Freud: "Una svolta che cambierà il modo di concepire la malatti

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ven

10

feb

2012

La musicoterapia combatte la depressione

Aiuta a esprimere le proprie emozioni, anche quando farlo a parole è difficile: è questo il motivo per cui la musica aiuta a combattere la depressione. Ad affermarlo, in uno studio pubblicato sul British Journal of Psychiatry, sono i ricercatori dell'Università di Jyväskylä (Finlandia), coordinati da Jaakko Erkkilä.
 
La ricerca è stata condotta su 79 soggetti affetti da depressione di età compresa tra i 18 e i 50 anni, 33 dei quali hanno seguito, oltre alle terapie standard - antidepressivi, psicoterapia e psicanalisi - anche 20 sedute di musicoterapia durante le quali hanno imparato a suonare uno strumento (come il tamburo o lo xilofono). Dopo tre mesi gli esperti hanno rilevato che i partecipanti che erano stati curati anche con le sessioni musicali mostravano meno sintomi di depressione e ansia e che, inoltre, questi effetti benefici erano visibili anche a distanza di sei mesi.
 
I risultati, spiegano gli studiosi, sono dovuti al fatto che la musica aiuta i pazienti a esprimere le proprie emozioni e a interagire in modo "non verbale", aiutandoli a descrivere le loro esperienze interiori anche quando non riescono a trovare le parole per farlo. «Abbiamo scoperto che attraverso la musica le persone spesso riescono a esprimere i propri sentimenti - spiega Erkkilä -. Alcuni pazienti hanno descritto questa esperienza come un 'gioco catartico'»
 
Fonte: http://salute24.ilsole24ore.com/
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ven

10

feb

2012

Facebook fa aumentare o diminuire l'autostima?

Facebook è per molti, ma non per tutti. Il social network dei record, infatti, è controindicato per le persone con scarsa autostima. Secondo uno studio pubblicato su 'Psychological Science', infatti, questo tipo di cybernauti finisce per bombardare gli amici online con messaggi negativi sulla propria vita, rendendosi sgradevole senza rendersene conto.

"Pensavamo che Facebook potesse essere un posto fantastico per le persone, uno spazio per rafforzare le relazioni", spiega Amanda Forest dell'University of Waterloo, coautrice della ricerca insieme a Joanne Woo. Anche perché "chi soffre di scarsa autostima spesso è a disagio nelle relazioni faccia a faccia", spiega. Invece le cose si sono rivelate diverse. Le ricercatrici hanno prima intervistato un gruppo di studenti sul social network, scoprendo che i giovani con scarsa autostima erano più inclini a giudicare 'FB' come un'opportunità per relazionarsi con gli altri, ma anche un posto 'sicuro' in grado di evitare i rischi legati alle situazioni sociali.

Poi il team ha monitorato il comportamento degli stessi ragazzi in rete, valutando i loro status, gli aggiornamenti e le reazioni degli 'amici'. Ebbene il gruppo di giovani con scarsa autostima si è rivelato più negativo, riscuotendo comunque meno commenti e meno apprezzamenti. Discorso diverso per le frasi positive: gli amici rispondevano molto di più. Ai coetanei più sicuri e positivi questo non accade: anche in caso di rari pensieri negativi, le reazioni degli amici sono numerose e partecipi.

Insomma, alcuni possono considerare il fatto di aprirsi su Facebook come un'opzione sicura e senza rischi, ma il realtà questo può non aiutarli nel rapporto con gli amici. "Anche perchè su FB non si vede la maggior parte delle reazioni altrui", conclude Forest.

 

Articolo tratto da: http://www.adnkronos.com

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Contatti:

339 7858503

lannavirginia@gmail.com

 

AREE DI INTERVENTO

Ø  aumentare l'autostima;

Ø  favorire la crescita personale e l'autoefficacia;

Ø  gestire l'ansia e lo stress;

Ø  conoscenza e gestione delle proprie emozioni;

Ø  consapevolezza corporea;

Ø  disturbi psicosomatici;

 

Ø  migliorare il benessere della coppia e delle relazioni affettive.